
Parsi Ci vorrebbe “il pensiero bambino” contro l’orrore guerrafondaio che avanza, trasformando in trincea quel che l’umana salute mentale ha, nei...
ParsiCi vorrebbe “il pensiero bambino” contro l’orrore guerrafondaio che avanza, trasformando in trincea quel che l’umana salute mentale ha, nei secoli, tentato di contrapporre al maligno narcisismo di chi considera la guerra una possibile soluzione a problematiche identitarie di confini. Ovvero i confini di ogni “Madre Patria” dietro e/o dentro i quali si nasconde il vergognoso sfruttamento di esseri umani e risorse. E la difesa non dei popoli ma degli interessi economici di pochi. Pochi e tra loro collegati attraverso la vastissima corte di complici asserviti al denaro, letame del diavolo. Laddove per diavolo s’intenda l’intento di porre il Bene quotidianamente sull’orlo del baratro per poi, come nella “sindrome dello yo-yo”, farlo risalire. Ovvero tirarlo nuovamente su, per poi tornare a giocare col rischio che il filo si rompa.
E, perché, il pensiero bambino? E perché in questo contesto? Ho più volte sostenuto che nessun testo contro la guerra è più significativo di quello contenuto nel libro “Il soldato con la pistola ad acqua” (2002) con disegni e testi di bambini e contributi di Anna Serafini, Gianni Rodari, Andrea Camilleri e il mio, sul tema dei “I bambini e la guerra”. Stavolta, però, il rischio che ci fanno correre quei folli che, seppure a tempi alterni ma da sempre, governano molte delle Nazioni, non è quello di sparare acqua contro i nemici, bensì è quello di un definitivo non ritorno. La mia generazione, nel Dopoguerra, è cresciuta temendo uno sviluppo di quel nucleare la cui distruttività, già 80 anni fa, ha segnato l’orrore di Hiroshima e Nagasaki. Quella distruttività si è moltiplicata per mille. È necessario garantire che chi ha il nucleare non possa usarlo se non per scopi pacifici. Mentre il timore è che realtà politiche teocratiche possano usarlo per distruggere quei popoli che non intendono sottomettersi alla loro reazionaria, misogina, guerrafondaia visione della vita, dei rapporti familiari, sociali, sessuali, economici. Sempre in gioco è “il braccio di ferro” di quelli che o prevalgono o fanno prevalere la difesa distruttiva dall’angoscia di morte. Ovvero “io morirò ma morirete tutti”. Laddove è alla morte che viene affidata la sfida a non averne paura perché è di vivere, aspettandola, che si ha paura. E questo riguarda non solo l’ultima delle guerre tra Israele e Iran, ma tutte quelle sulla terra. Perché per il nucleare non c’è il Salvatore. È il bambino interiore che deve vincere sul resto. E non il “nemico”. Interno o esterno che sia!