
Carlo Colopi dirige l’Ispettorato del lavoro di Milano competente anche sull’area della Brianza In campo 80 ispettori operativi su un territorio fitto di imprese
di Andrea Gianni
MILANO
Un fenomeno "vergognoso e riprovevole", anche considerando le dimensioni, il fatturato e la caratura internazionale di colossi che "hanno tutti gli strumenti per rispettare le regole e vigilare sulle condizioni di lavoro nella filiera degli appalti". Carlo Colopi, dirigente dell’Ispettorato del lavoro di Milano, competente sulla Città metropolitana e sulla provincia di Monza-Brianza, con una squadra di circa 80 ispettori operativi è ogni giorno in campo su una delle aree con la più alta densità di imprese, dove si nascondono caporalato e sfruttamento.
Nella filiera della moda è stato firmato il protocollo sulla legalità, anche con le associazioni di categoria. Impegni che restano sulla carta?
"Il protocollo è stato una risposta, raggiunta anche con una certa fatica e superando infinite resistenze. A seguito delle prime misure di amministrazione giudiziaria che hanno riguardato gruppi dell’alta moda, quando è stata messa sotto osservazione la filiera, la maggior parte delle aziende ha corretto la rotta, si è adeguata, ha fatto pulizia e ha messo in campo controlli sui fornitori. C’è chi invece non lo ha fatto, come Valentino e Loro Piana, e adesso ne sta pagando le conseguenze. Ricordiamo che l’amministrazione giudiziaria è una misura “soft“, che non mette a rischio l’operatività di un’azienda e salvaguarda la produzione. Indica, però, che esiste un problema a va risolto".
Come mai, secondo lei, dopo anni di accertamenti sul settore alcune aziende non si sono adeguate?
"Non riesco a darmi una spiegazione, bisognerebbe rivolgere a loro questa domanda. Anche a me stupisce l’inerzia, perché si tratta di aziende che hanno tutti gli strumenti e i margini economici per rispettare le regole".
Dovrebbero rinunciare a una parte dei profitti?
"Non so se è una questione di mero profitto, perché raggiungono profitti talmente alti che potrebbero permettersi anche di rinunciare a una parte, quanto piuttosto una mancanza di comprensione dell’importanza degli argomenti che stiamo trattando e del fatto che da qualche tempo l’aria è cambiata. Per aziende internazionali, conosciute a livello globale, tutto questo si traduce in un danno d’immagine enorme".
C’è una sensibilità, da parte dei consumatori, su questi temi?
"Sono vicende che per la loro risonanza mediatica colpiscono, provocano indignazione, ma non so se poi incidano realmente sulle abitudini e sugli acquisti. Di certo le aziende virtuose andrebbero premiate, valorizzate".
Su quali fronti state lavorando, come Ispettorato?
"In questo periodo stiamo concentrando un grosso sforzo sulle grandi opere a Milano, legate anche alle Olimpiadi invernali del 2026, sulle filiere degli appalti nell’edilizia e negli ultimi giorni anche sul rispetto dell’ordinanza regionale sul caldo. Grazie all’ingresso di nuovo personale c’è stato un salto di qualità nei controlli in materia di salute e sicurezza sul lavoro. C’è un grosso problema, però, legato ai concorsi".
Quale?
"All’ultimo concorso bandito per assumere 190 nuovi ispettori tecnici in Lombardia si sono presentati solo 89 candidati, e tra questi non tutti sono risultati idonei. La spiegazione di numeri così bassi è sempre nel costo della vita, perché uno stipendio di 1900 euro al mese offerto a un ingegnere non è concorrenziale rispetto al settore privato, pur essendo il nostro un lavoro socialmente importante, che si può svolgere anche con autonomia sugli orari. Le risposte? Le pubbliche amministrazioni dovrebbero offrire soluzioni abitative, con formule tutte da studiare, a chi si trasferisce a Milano o in altre città del Nord. Nell’immediato una misura innovativa potrebbe essere la sussidiarietà tra uffici della stessa Pa e il lavoro decentrato, anche se le ispezioni sui luoghi di lavoro sono funzioni “non smartabili“ così come, ad esempio, le mansioni delle forze dell’ordine".