Milano, 10 giugno 2023 – “Prima che Giulia cadesse a terra, lei quanti colpi le ha inferto?", la domanda del pm. "Uno quando lei aveva ancora il coltello in mano, afferrandogli la sua mano. E poi altri due sempre al collo". Stralci dal primo interrogatorio di Alessandro Impagnatiello, che la notte del primo giugno mise a verbale (salvo poi correggersi davanti al gip con una versione ancor più inverosimile) di aver ucciso la compagna Giulia Tramontano "per non farla soffrire", dopo che lei si era autoinferta alcuni colpi. Parole che sono state completamente smentite dall’autopsia eseguita ieri sul corpo della ventinovenne e che, rilette oggi, non fanno che amplificare l’orrore per una vicenda già drammatica e per il castello di menzogne costruito dall’omicida di Senago prima e dopo il massacro.
Non tre coltellate, come dichiarato dall’assassino ed emerso da una prima ispezione del medico legale su una minima parte visibile del corpo ritrovato nell’intercapedine di via Monte Rosa, bensì almeno 37 coltellate. Un numero impressionante di fendenti, alcuni dei quali con ogni probabilità sferrati quando la donna, incinta al settimo mese, era già morta o a terra agonizzante. Il primo esito dell’esame all’istituto di medicina legale di piazzale Gorini, affidato al professor Andrea Gentilomo e a un pool di specialisti, fa ipotizzare che Impagnatiello abbia aggredito la vittima alle spalle, tra la parete attrezzata e il salotto del soggiorno (dove sono state evidenziate col luminol evidenti tracce di sangue), e le abbia provocato un taglio alla gola che ha reciso carotide, giugulare e trachea. Una coltellata che le ha impedito di urlare e di abbozzare una reazione. Una coltellata che con ogni probabilità ne ha provocato il decesso per dissanguamento nel giro di pochi minuti. Il trentenne avrebbe continuato a colpire con ferocia, intaccando l’arteria succlavia, poco sotto la clavicola, e mirando alla cieca al volto, alla schiena e al petto, perforando un polmone.
Una dinamica da agguato , compatibile con l’assenza di segni di difesa sul cadavere di Giulia e con le dichiarazioni dei vicini, che hanno riferito ai carabinieri del Nucleo investigativo, coordinati dal colonnello Antonio Coppola, di non aver sentito provenire urla dall’appartamento della coppia al secondo piano di via Novella 14/A. L’autopsia non ha invece riscontrato segni sul ventre, facendo cadere il macabro sospetto che Impagnatiello avesse mirato anche al figlio che stava per nascere. I risultati dell’esame possono incidere in maniera decisiva sull’aggravante della crudeltà, che la Procura intende contestare insieme a quella della premeditazione: l’uomo ha infierito sulla vittima, accoltellandola decine di volte.
Restano altri punti da chiarire. A cominciare dall’ora esatta della morte: le ustioni provocate dal doppio tentativo di bruciare il cadavere hanno pesantemente intaccato i tessuti, rendendo arduo il compito di stabilire con esattezza in che momento sia deceduta la ventinovenne. Il range temporale da prendere in considerazione è quello compreso tra le 19.05 (quando è rientrata a casa dopo aver incontrato l’amante del compagno in via Manzoni) e le 20.30 (quando l’altra donna ha iniziato a ricevere messaggi "strani", inviati dal trentenne col cellulare di Giulia per far credere che fosse ancora viva) di sabato 27 maggio. Ci vorrà più tempo, infine, sia per individuare il momento in cui è deceduto il feto sia per capire se Impagnatiello abbia somministrato alla vittima una dose di veleno per topi dello stesso tipo di quello ritrovato dai militari nel suo zaino di pelle e di cui aveva cercato on line gli effetti sugli esseri umani sei giorni prima del raid letale.