NICOLA PALMA
Cronaca

Il killer dei Casalesi al carcere duro e la strana richiesta del rasoio elettrico col filo

Giovanni Letizia sta scontando l’ergastolo a Opera (anche) per la strage dei ragazzi africani a Castel Volturno. La sua istanza ha accuso una disputa “giuridica” conclusa con il secco no della Corte di Cassazione

La strage di San Gennaro a Castel Volturno: a sparare c'era anche Giovanni Letizia

La strage di San Gennaro a Castel Volturno: a sparare c'era anche Giovanni Letizia

Milano – Ore 21 del 18 settembre 2008, siamo a Baia Verde, frazione di Castel Volturno, Caserta. Antonio Ciliento si trova davanti alla sua sala giochi: sospettato di essere un informatore delle forze dell’ordine, viene investito da una raffica di sessanta proiettili esplosi in un amen. Passa meno di mezz’ora, e lo stesso gruppo di fuoco piomba alla sartoria Ob. Ob. Exotic Fashions al civico 1083 della strada statale Domitiana: sei immigrati originari di Ghana, Togo e Liberia – senza alcun collegamento con la mala nigeriana che all’epoca gestiva per la camorra spaccio e prostituzione nella zona – restano a terra, trucidati da 125 colpi sparati in trenta secondi. Un’azione di fuoco che passerà alla storia criminale come la strage di San Gennaro.

Il massacro

Una strage di innocenti che il giorno dopo innescò una vera e propria rivolta della comunità africana, che invase le strade per chiedere a gran voce che gli assassini venissero subito catturati. Una strage che generò l’immediata reazione dello Stato (107 gli arresti meno di due settimane dopo) e che le sentenze hanno attribuito al gruppo capeggiato dal boss Giuseppe Setola, leader dell’ala più sanguinaria del clan dei Casalesi. Al suo fianco, lì come in altre occasioni, c’era Giovanni Letizia alias “Zuoppo”, fidato braccio destro del “Cecato”: quella sera, hanno ricostruito gli investigatori, impugnava una pistola mitragliatrice e una semiautomatica. Condannato all’ergastolo in via definitiva, il quarantaquattrenne nativo di Aversa ha subìto condanne pesantissime (da 30 anni al carcere a vita) anche per gli altri raid killer di quella stagione drammatica, che tra la primavera e l’estate del 2008 seminò il terrore nel Casertano per imporre a tutti la legge di Setola: caddero gli imprenditori Domenico Noviello, Michele Orsi e Raffaele Granata, l’autotrasportatore Antonio Ciardullo e il suo dipendente Ernesto Fabozzi. Letizia sta scontando il “fine pena mai” al 41 bis nel penitenziario di Opera.

La strana richiesta

E lì, come si ricostruisce in una recentissima sentenza della Cassazione, ha chiesto il permesso di acquistare un rasoio elettrico “per capelli e barba con filo elettrico e non autoalimentato”. Dopo il primo diniego “per ragioni di sicurezza” da parte dei responsabili dell’istituto di pena, Letizia ha presentato un reclamo al magistrato di sorveglianza, che ha dato il via libera all’istanza. La decisione, confermata anche dall’ordinanza emessa il 15 novembre 2024 dal Tribunale di sorveglianza, è stata impugnata dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) del Ministero della Giustizia, che si è rivolto alla Suprema Corte per ottenere l’annullamento del provvedimento. E così è avvenuto, per volontà degli ermellini. I giudici hanno riassunto le puntate precedenti, partendo dalla norme: l’articolo 10 della circolare Dap del 2 ottobre 2017 prevede l’autorizzazione all’uso di rasoi tagliabarba con batterie, tramite acquisto col servizio sopravvitto dell’istituto.

Detto questo, il magistrato che ha accolto il reclamo di Letizia ha tirato in ballo “il diritto soggettivo alla salute, con il risvolto inerente la possibilità di cura dell’igiene personale”, ritenendo “inutilmente afflittiva” l’imposizione dell’uso “di uno strumento meno agile di quello prescelto” dall’ergastolano, senza che siano state presentati “ragionevoli argomenti a fondamento delle prospettate esigenze di sicurezza”. Fatta la premessa, la Cassazione ha sentenziato che “il provvedimento impugnato ha dedotto dal diritto alla salute certamente riconosciuto al detenuto un’inammissibile prerogativa di scelta delle concrete modalità di esecuzione delle attività di cura dell’igiene personale”. Del resto, hanno aggiunto i giudici, “la facoltà di scegliere il tagliabarba con il cavo elettrico rispetto a quello con batteria integra un mero interesse di fatto, privo di tutela”.

Il rifiuto

E d’altro canto l’introduzione dello strumento dotato di filo è stata vietata “secondo le previsioni di una legittima misura precauzionale, connessa ai pericoli di folgorazione e alla necessità di controllare l’uso dell’energia elettrica negli istituti”. Tradotto: il fatto che Letizia debba usare il rasoio a batterie, come tutti gli altri carcerati italiani, non provoca alcuna “concreta lesione di un diritto soggettivo”, comunque garantito da quel tipo di tagliabarba. Conclusione: ordinanza annullata senza rinvio e caso chiuso.