Vimodrone (Milano) – “Dietro ai ragazzi in carcere ci sono adulti che non hanno capito. Che non hanno ascoltato. Che non hanno saputo cogliere i segnali”.
E cosa succede, invece, quando qualcuno cammina con loro è al centro di ‘Oltre il cielo’ la docuserie Rai (su Rai Play dal 13 dicembre) girata nelle celle del carcere minorile milanese Beccaria al Fornelli di Bari e fra le mura della comunità Kayros, a Vimodrone.
Don Claudio Burgio è il punto di unione di questi due mondi, cappellano dell’istituto penitenziario e fondatore della “casa” alle porte del capoluogo lombardo, dove tanti ragazzi difficili provano a ricostruirsi un futuro.

Don Claudio, otto puntate per raccontare il disagio?
“Sì, il docufilm affronta con realismo la vita di questi ragazzi”.
Cosa c’è all’origine di tutto questo dolore?
“La mancanza di prospettive, il futuro come promessa negata. Questo non giustifica rapine, furti, spaccio e reati ancora più gravi. Ma la serie ci offre uno spaccato di cosa c’è a monte, del vuoto che è la quotidianità di tantissimi adolescenti”.
Colpa delle famiglie?
“Hanno un ruolo importante in questa situazione. O sono assenti, o sono troppo presenti: creano aspettative che generano ansia e di nuovo sofferenza. Al Beccaria ci sono tanti ragazzi ‘perbene’ che commettono reati gravi. Il fenomeno è trasversale”.
Cosa c’è all’origine di tutto?
“Un buio enorme sul senso a cominciare dall’esistenza, io la chiamo malattia dello spirito. I ragazzi sono analfabeti dal punto di vista affettivo e sentimentale. Manca un codice sociale che ha retto con le vecchie generazioni. Oggi, quelle regole e i valori dalle quali scaturivano, non ci sono più. È questo il nodo da affrontare”.
Una messaggio per gli adulti?
“Siamo noi la chiave di volta. Ma bisogna mettersi in discussione. Le parole che usiamo per definire le cose sono estranee al mondo giovanile. Bisogna mettersi a disposizione senza pregiudizi. E sollecitare anche le istituzioni: servono nuovi modelli. Si tratta di mettersi in cammino. Non abbiamo trasmesso valori, serve una riflessione profonda sulle ragioni, alla base di tutto c’è questo”.
Qualche volta si recupera, però.
“Siamo qui per questo. Le storie di “Oltre il cielo“ raccontano la speranza. Quando i ragazzi vengono valorizzati, cambia tutto: rifioriscono”.
Che ruolo hanno i social in tutto questo?
“Enorme. Ma non vanno demonizzati. Bisogna ricondurli a essere uno strumento e invece lo smartphone ha cambiato al vita a tutti”.
Quanto incidono le disuguaglianze?
“Moltissimo, soprattutto a Milano, la forbice si è allargata come mai prima. Senza dubbio conta anche il fatto che con i figli si trascorra meno tempo che in passato. Ma i genitori precari non hanno scelta”.
L’inchiesta sugli abusi al Beccaria è stata una ferita anche per lei.
“Succede che anche gli educatori più attenti non riescano a intercettare i problemi. Il motivo è semplice e complesso allo stesso tempo: i ragazzi non parlano più con noi. Gli adulti sono irrilevanti. Per dare a tutti un futuro bisogna ripartire dal deserto di sentimenti nel quale vivono. Non sanno perché sono al mondo”.