ARMANDO STELLA
Cronaca

Donpi, il prete ‘piccolo piccolo’ che non si è arreso al cattivismo di Milano: “Qui nessuno è straniero”

Addio a don Piero Cecchi, parroco di via Padova dal 1996 al 2011. Don Bosco, l’aiuto agli ultimi, il dialogo con i musulmani, la difesa del campetto di San Giovanni Crisostomo, la lettera a Celentano: storia di un sacerdote indimenticabile. “Bisogna imparare a conoscersi per allontanare le paure”

Don Piero Cecchi a San Giovanni Crisostomo

Don Piero Cecchi a San Giovanni Crisostomo

Milano – “Io sono un prete piccolo piccolo. Nulla di straordinario”. Ora possiamo dirlo: era un gran bugiardo. Mentiva nella lingua dei santi: sconfessava i suoi meriti, aveva abiurato all’orgoglio. Ottimista imperituro, alla maniera di Churchill: “In via Padova cammina il futuro, anche della Chiesa”. Se il successo non è mai definitivo, e il fallimento non è fatale, conta solo il coraggio di continuare, Winston. E crederci: “In qualsiasi posto c'è qualcosa di bello da fare”. Don Piero Cecchi aveva portato la sua grazia nella Milano reietta: “Per avere umanità bisogna guardarsi negli occhi”. Lo chiamavano Donpi e lui si richiamava a don Bosco: “Dobbiamo costruire il positivo”. Ci metteva tutta la forza residua lasciata da un'epatite C cronica, ed era instancabile. Il 5 agosto scorso litigava ancora con il pc: “Non riesco a riprodurre un’immagine dei Santi Gioachimo e Anna, nostri patroni”. A 89 anni è tornato alla casa del Padre, aggiornerà il suo profilo Facebook anche da lì.

Don Piero Cecchi a San Giovanni Crisostomo
Don Piero Cecchi a San Giovanni Crisostomo

I natali a Porta Venezia il 22 maggio 1936, il liceo scientifico, gli studi in Teologia. L'ordinazione per mano del cardinale Giovanni Battista Montini, il 28 giugno 1961. La prima messa celebrata nella chiesa di Santa Francesca Romana. Tre anni da prof al seminario di Seveso e poi, dal 1963, l'oratorio dell'Annunziata in via Pellegrino Rossi: “Ne sono uscito un po' consumato – raccontava – Ho avuto due collassi”. Passato a rifiatare da Lasnigo (tra Asso e il Ghisallo) e Osnago (il paese di monsignor Ravasi), nel 1996 era tornato in una Milano irriconoscibile. Raccontava: “Ho dovuto chiedere un Tuttocittà al benzinaio”. Trovò una babele sradicata e supplicante aiuto, la chiesa di via Padova una Ellis Island carica di speranze tra piazzale Loreto e la tangenziale. La periferia popolare che fu dei meridionali (e prima di quelli che “non si affitta ai meridionali”) affollata da 50 nazionalità di migranti. E nessuno straniero: “Sono non-italiani – diceva il Donpi – Straniero contiene la radice della parola estraneo, e per me nessuno è estraneo. Soffro quando via Padova è vittima dei pregiudizi. Si parla male di un'astrazione. Non esistono ‘i rom’, ‘i marocchini’: esistono persone con nome e cognome. Non si può fare una guerra alle astrazioni”. Non ci si può arrendere al cattivismo.

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In quegli anni – come oggi, come sempre, la politica ha la straordinaria capacità di riproporre e ripetere in forme coattive gli stessi schemi populistici ogni volta che se ne presenta l’occasione – Milano sentiva di vivere in una “emergenzasicurezza”, tutt’attaccata. Clandestini. Case occupate. Violenza nelle strade. Omicidi, disordini. Via Padova messa a ferro e fuoco, ma davvero. Dal basso, amplificato dall’alto, partiva periodicamente la richiesta di un risiko con i carrarmatini nei quartieri devastati dalla paura. L’esercito, i soldati, i militari: le divise della Difesa. Don Piero rispondeva con le comunioni: quattro bimbi su dieci, al sacramento, erano figli di immigrati. Alle barricate preferiva le “imboscate”: bussava alle porte, sono il Donpi. Il cibo ai poveri, il pasto ai pensionati, un tetto ai divorziati, l’ascolto degli emarginati, il doposcuola  per i bambini. All’oratorio aveva inserito adolescenti di fede islamica e dialogava con i vertici della moschea: “Ho creato un rapporto di sereno rispetto – diceva – Li ho ospitati anche sul campo dell'oratorio, per la preghiera del Ramadan, quando non sapevano dove andare”. Il campetto della polisportiva, già. Terra santa con la calce bianca e le porte sui lati corti. Quando lo Stato pensò di tagliarne un pezzo per costruire un caseggiato, don Piero si mise davanti alle ruspe e scrisse una lettera a Celentano: caro ragazzo della via Gluck, qui vogliono fare un palazzo di 30 piani. La Milano pre Expo stava già incubando il suo destino di cemento. 

Don Piero Cecchi a San Giovanni Crisostomo
Don Piero Cecchi a San Giovanni Crisostomo

Don Piero Cecchi è stata la voce buona e saggia di via Padova per 15 anni, fino al mandato rimesso nelle mani del cardinale Dionigi Tettamanzi nel 2011. Vale la pena riascoltarle, le sue parole. "Io dico sempre: invece di 300 poliziotti, a via Padova servirebbero 150 agenti e 150 educatori di strada. Ho la sensazione che questo dispiegamento di forze, tra militari e polizia, renda già la vita meno sicura, più impaurita”. L’allarme sociale. “Ci sono persone impaurite, è vero. Ma altre vivono con naturalezza e nuove famiglie italiane vengono ad abitare qui. C'è una ricchezza culturale e umana interessante, ci sono oltre 60 associazioni di volontariato non sempre sostenute e incoraggiate dalle istituzioni”. Nei suoi ultimi mesi a San Giovanni Crisostomo don Piero aveva organizzato una serie d’incontri: “Imparare a conoscersi per allontanare le paure”. Non temeva di pronunciare la parola “integrazione”, anzi, la rivendicava: “I provvedimenti di ordine pubblico, da soli, non bastano”. Con i clandestini, per dire. “Il fenomeno si affronta sue due versanti. Il primo: proponendo strade possibili di regolarizzazione. Il secondo: perseguendo i delinquenti. Ma vanno distinti i clandestini che delinquono, da contrastare, da quelli per bene: questi ultimi vanno aiutati a trovare una collocazione legale nella società. Mettiamola così: l’equazione clandestino-delinquente non è vera. Bisogna prevenire il reato, offrire un’opportunità. Ma per avere un lavoro bisogna avere una residenza e per avere una residenza bisogna avere un lavoro, come si fa?”. Enigma indecifrabile, serviva e servirebbe forse più Touring di Churchill.

Fino agli ultimi mesi don Piero Cecchi ha continuato a raggiungere i fedeli, gli amici, le persone che lo hanno incontrato, conosciuto, amato. Lo faceva su Whatsapp. Con un messaggio su Facebook. Pasqua e Natale, ricorrenze fisse. Gli auguri di compleanno: non sgarrava mai. Prete di strada, non fuori dal tempo. Molti in queste ore lo ricordano sul suo profilo social. “Caro Donpi, quale onore e privilegio aver percorso un pezzo di strada con la tua guida. Mi manchi già e mi mancheranno i tuoi pensieri dedicati e personalizzati”. “Si è spenta una delle persone più importanti della mia vita. Ti abbraccio Donpi. Verrò a darti l'ultimo saluto insieme a tutti i ragazzini che hai tirato su e protetto. Un abbraccio da tuo figlio!”. Tu sopra tutti mi hai protetto da ragazzino e difeso dalle mie enormi fragilità. Mi hai donato quel po' di serenità per andare avanti”. “Siamo rimasti orfani del nostro padre spirituale ma soprattutto di un grande amico. Sarai per sempre nei nostri cuori”. “Ci mancherai moltissimo Donpi”. “I love you, Zio Piero. God bless you”. I funerali saranno celebrati mercoledì 20 agosto, alle ore 11, nella chiesa dell’Annunciazione di via Scialoia, zona Affori, Milano.

Milano ha perso un sacerdote, un padre, un confessore, un amico, una guida. Don Piero Cecchi, un prete “piccolo piccolo”, nient’affatto, un gran bugiardo, indimenticabile Donpi.