
Al centro Ivano Zoppi (Fondazione Carolina). A sinistra Claudio Grimaldi e a destra Roberto Ferrario, rispettivamente fondatore e direttore creativo di Mynd
Milano – Come una seconda casa. Gli arredi hanno colori tenui, le poltrone sono dei sacchi che invitano ad abbandonarsi. A lasciarsi andare in tutti i sensi, mettendosi nelle mani di chi è pronto ad ascoltare. Con questo spirito è nato il centro Re.Te, dedicato al recupero terapeutico dei giovani che manifestano disagi, senza farli sentire pazienti ma semplicemente persone. A pochi passi da via Melchiorre Gioia, ha iniziato ad essere attivo ancora prima di aprire, e in pochi mesi – da febbraio a oggi – ha già trattato 35 casi di preadolescenti, adolescenti e giovani adulti in difficoltà. “In cima alle priorità avevamo messo i problemi dovuti alla dipendenza tecnologica. Ma fin da subito è emersa l’urgenza di dedicarci a più disagi”, spiega Ivano Zoppi, segretario generale di Fondazione Carolina, realtà dedicata a Carolina Picchio, la prima vittima riconosciuta di cyberbullismo in Europa, che si tolse la vita il 5 gennaio del 2013 a 14 anni.
Ed è proprio la fondazione a mettere a disposizione il centro Re.Te, gratuitamente per i ragazzi, che vengono seguiti dagli educatori professionali di Pepita. Finora sono stati accolti hikikomori, “che non uscivano di casa da mesi”, sottolinea Zoppi, evidenziando che “gli esperti li hanno anche raggiunti a domicilio”. Poi ragazzi che stanno affrontando un percorso di “messa alla prova“ – consente di evitare la condanna penale e di svolgere un programma di reinserimento sociale –, “anche macchiatisi di reati che hanno a che fare con la tecnologia”, aggiunge.
Ancora: giovani dipendenti da sostanze o che hanno abbandonato gli studi. Il percorso prevede sostegno psicologico, attività educativa di gruppo e poi su misura, con sport, teatro, ippoterapia e non solo. E il ragazzo è chiamato anche a restituire in un’altra forma ciò che ha avuto, mettendosi a disposizione. “Anche se i problemi sono diversi, quello che questi ragazzi hanno in comune – riflette il segretario generale della fondazione – è il senso di disagio, la frustrazione, in molti casi manifestano anche ansia e depressione. Siamo di fronte a una crisi profonda dell’adolescenza, di cui il mondo adulto non si rende conto. Chiediamo ai ragazzi “come stai?“, li ascoltiamo? O l’attenzione è sempre alla performance, al rendimento? Quando affrontiamo il cyberbullismo nelle scuole, molti dicono di non avere un adulto di riferimento al quale rivolgersi in caso di necessità. Al primo posto deve esserci il prendersi cura, non solo da parte della famiglia o della scuola: la responsabilità è di ogni adulto”.
Il benessere passa necessariamente dalla sfera online, dove i più giovani, spiegano gli esperti della fondazione, trascorrono dalle 8 alle 10 ore al giorno. E il cyberbullismo è solo uno dei malesseri che i ragazzi vivono. Per tendere una mano, la fondazione, che ogni anno incontra nelle scuole d’Italia oltre 90mila ragazzi dalla primaria alle superiori, mette a disposizione delle famiglie, della scuola e degli educatori un’equipe multidisciplinare con esperti in ambito psicologico, clinico, giuridico e comunicativo: il “Rescue team", che negli ultimi 2 anni scolastici ha gestito 278 casi, uno su cinque in Lombardia, in particolare Milano e hinterland.
Negli incontri è emerso che tre studenti su quattro, tra gli 11 e i 17 anni, sono coinvolti in episodi on line. È lo smartphone, il dispositivo più utilizzato (per l’88%, almeno una volta al giorno) e 4 ragazzi su 10 hanno ricevuto il primo smartphone prima dei 10 anni. A 13 anni, tutti hanno un cellulare personale. Tra i fenomeni di tendenza: il chatting, che consiste nel mandare messaggi mentre si guarda una serie tv o si gioca in rete, impegnandosi anche in “maratone live“. Poi il sexting (due ragazzi su tre dichiarano di aver ricevuto messaggi sessualmente espliciti su internet, almeno una volta), e il vamping. Che significa passare la notte collegati agli schermi. Tornare alla realtà, poi, è sempre più difficile.