Milano – Rivolte, incendi, evasioni. Una sequenza che è diventata tristemente routine al carcere minorile Beccaria, dove la pace si è ridotta a una parentesi tra un’emergenza e l’altra. “Sarebbe da sciocchi continuare ad assistere a questi avvenimenti senza cambiare nulla” riflette don Gino Rigoldi, 84 anni, il cappellano storico dell’istituto penitenziario di via Calchi Taeggi, da oltre mezzo secolo impegnato con i giovani detenuti. E non sono solo parole, le sue. “Perché il cambiamento è già in atto. Nel progetto che tutti insieme stiamo mettendo in campo si prevede la creazione di piccoli gruppi, da 10 ragazzi al massimo, che avranno sempre gli stessi adulti di riferimento”.
Cambiamento anche a livello gestionale?
“Sì, si partirà proprio da qui. In questi giorni ci stiamo confrontando con il responsabile del Dipartimento Giustizia minorile, Antonio Sangermano. Si è arrivati a definire una sorta di “direzione condivisa”. Intanto è arrivato il nuovo comandante, Raffaele Cristofaro. Nella squadra, a fianco del direttore Claudio Ferrari, ci sarà Teresa Mazzotta (a capo dell’Ufficio interdistrettuale esecuzione penale esterna di Milano), per molti anni vice direttrice di San Vittore. Supporto indispensabile sarà poi quello di Manuela Federico, già comandante degli agenti sempre a San Vittore”.
Qual è il problema principale, con i ragazzi? Perché non si riescono a gestire?
“La stragrande maggioranza è composta da minori stranieri non accompagnati (i detenuti sono in totale 54, di cui 17 italiani e gli altri stranieri non accompagnati, l’85%, su una capienza di 37 posti, ndr). Molti arrivano dalla strada e sono analfabeti. Venuti in Italia con l’obiettivo di lavorare per mandare i soldi alla famiglia, si sono ritrovati a delinquere. Faticano a stare in carcere, vedono noi adulti come i loro “nemici naturali” in questo contesto. Per questo abbiamo pensato di dividere il Beccaria a metà, sia a livello di spazi e sia di persone, e poi di creare piccoli gruppi di 8, 10 persone al massimo che avranno educatori, formatori e agenti fissi, sempre gli stessi anche nel cambio turno, in modo che sia più semplice instaurare un rapporto di fiducia con adulti che diventeranno punti di riferimento per i singoli e offriranno continuità. Ogni gruppo dovrà essere un’unità. L’obiettivo è che il Beccaria diventi sul serio un carcere minorile con funzioni educative. Ma, perché lo sia, occorre anche altro”.
Cosa?
“I ragazzi devono avere documenti di riconoscimento (mi sto interessando personalmente in Comune), altrimenti una volta fuori dal Beccaria saranno destinati alla clandestinità. Fondamentale è incentivare gli “articoli 21“ (la legge sull’ordinamento penitenziario prevede, all’articolo 21, la possibilità di uscire dal carcere per svolgere un’attività lavorativa, su concessione del direttore dell’istituto di pena, ndr). Già diverse aziende hanno manifestato disponibilità. Pensiamo non solo al lavoro ma anche ai corsi di formazione da svolgere all’esterno. Mentre proseguono i progetti attivi da tempo: laboratori di cucina, di falegnameria, di progettazione di quadri elettrici industriali. Fondamentali lo sport e il teatro: continuiamo a puntare sulla cultura”.
Inviterete anche ospiti?
“Sì. Imam, personaggi dello sport e dello spettacolo, ma anche detenuti adulti affidabili che hanno deciso di cambiare vita e che potranno dare consigli ai ragazzi. Fondamentale capiscano, ad esempio, che l’evasione ha come conseguenza solo l’aggravamento della propria condizione: prima o poi si viene individuati e la pena diventa più dura, con tanto di trasferimento”.