
Classe ed eleganza, anche e soprattutto personale, questo era Giorgio Armani
Milano, 4 settembre 2025 – Anni ’90, conferenza stampa da Giorgio Armani, come sempre. Arriva in blu scuro, t-shirt e pantaloni, passano gli anni, stessi appuntamenti in occasione della settimana della moda, stesso look. Stessa eleganza. Di scuro, capello già bianco, quasi candido, sorriso timido, espressione concentratissima. Anni ’90, quindi niente Internet, niente social, ma contatto diretto: bicchieri d’acqua, strette di mano, cordialità, solite colleghe.
"L’eleganza? Indossare una sorta di tuta preziosa, morbida a tinta unita: così vedo oggi la donna”. Rigore, ricercatezza, precisione. Come quando dietro al back stage poteva innervosirsi per un orecchino messo male, per un orlo di pantalone non perfetto, per una blusa che secondo lui “sboccava”. Armani era così: le sue creazioni erano e restano inconfondibili, riconoscibili, rare. Una volta, in occasione dell’imminente sfilata cercava un nome, un titolo, una frase che identificasse la sua collezione. Si trattava, stavolta, di un défilé, un vero inno all’eleganza italiana, fatta di quei colori tenui, inconfondibili. I suoi colori? Il grigio ora nella moda è comunemente chiamato “grigio Armani”: tonalità pensata e voluta da lui per quelle giacche destrutturate (ribattezzate anch’esse come giacche-Armani). Perché in tempi di donne strizzate nei corpetti con le grazie a vista, lui le vestiva coprendole di grazia. Le ha onorate, coperte di pietre e luccichii nascosti nei tessuti dei tailleur e negli abiti da sera da favola. Scarpe basse, tacchi solo a volte, capelli raccolti nelle code di cavallo. E toni chiari, eterei: ecco la“sua” ragazza di classe di tutte le età. Il titolo che Armani cercava per la collezione, dicevamo. “Botta d’orgoglio”: fu quell’intuizione fortunata che lui colse al volo, un riconoscimento da parte sua che, per chi scrive, fu una sorta di medaglia sul campo. “Botta d’orgoglio”, era la frase che cercava e che lui ripeté, per descrivere la sfilata, la sua donna, davanti alle telecamere di tutto il mondo. E che orgoglio quell’attimo di “complicità“.

Orgoglio per la sua moda, orgoglio per il suo lavoro certosino, orgoglio per aver portato la moda italiana sul tetto del mondo. Prima Antonia Dell’Atte, poi Cate Blanchett, e sempre e per sempre Sophia Loren: le sue donne. Venne a una sua sfilata, era seduta su una poltrona rossa, la Sophia nazionale. E prima della sfilata ti parlava del suo amico Giorgio come se fosse “una di noi” - e non la diva mondiale che è - e che si raccontava davanti a un caffè. Ieri di lui ha detto: “Il mondo ha perso un gigante di eleganza, creatività e genialità e io ho perso un fratello. Le lacrime e il dolore non possono rendere giustizia a ciò che la mia famiglia ed io, così come tanti in tutto il mondo, proviamo oggi. Solo forse i ricordi condivisi di risate e del tempo trascorso insieme, e quella luce indelebile nei suoi occhi, potranno un giorno guarire il nostro dolore e colmare il vuoto che la scomparsa di Giorgio ha lasciato”.
E quanti gli ospiti accorsi da ogni parte del mondo per lui. Abbiamo visto George Clooney e Brad Pitt seduti in prima fila, per citarne solo due. Ma l’elenco sarebbe troppo lungo. Oggi leggeremo di tutto, di più. Com’era, com’è partito, i suoi inizi da vetrinista, la sua Piacenza, la copertina del Time, i suoi innumerevoli successi. Ci piace ricordarlo semplicemente così: con gli spilli sempre pronti per sistemare e appuntare una volta in più la manica di una giacca o l’orlo di un pantalone. Abbiamo respirato da vicino la sua passione per la moda. "La mia vita è il mio lavoro”, amava ripetere. Armani, talento mondiale, da Piacenza a Hollywood. Una love story, quella con l’America, il Paese che lo ha fatto conoscere fuori d’Italia, lunga quasi 50 anni: Armani approdò a New York a fine anni Settanta quando Bergdorf Goodman, tempio della moda elegante su Fifth Avenue, gli aprì le porte per alcuni capi della collezione maschile. Nel 1980 la prima sfilata a Rockefeller Center. Un film spartiacque, American Gigolo con Richard Gere e la meravigliosa Lauren Hutton. “New York, e l’America mi hanno dato molto. Nel lungo elenco non posso non aggiungere l’emozionante incontro con il presidente Obama avvenuto alla Casa Bianca nel 2016”, amava rievocare. Uomo, stilista, firma, marchio, persino modo “di dire” come sinonimo di eleganza, di vestire, di vivere. Orgoglio per il nostro Paese, per la “sua Milano”. E per l’industria della moda che a lui deve tutto.