
Alessandro Cattelan
Milano – È il golden boy della televisione italiana. Il Pippo Baudo 2.0. Ma in versione alternativa. Cresciuto a pane ed MTV. Chissà se per Alessandro Cattelan arriverà mai la conduzione di uno spettacolone nazionalpopolare. Tipo Sanremo. Nel frattempo però l’appuntamento è come al solito al martedì su Rai 2 per “Stasera c’è Cattelan” (ospiti di oggi: Gabbani, Enogu, Paolo Fox). Oppure da Book Pride. Dove domenica alle 15 al Superstudio presenta “La mia New York”, guida alla Grande Mela con contributi di alcuni amici, da Roberto Saviano a Renzo Piano. Ritorno alla scrittura. Con la sua Accento Edizioni.
Cattelan, come mai questa guida?
“New York è una città a cui voglio bene. Ci ho comprato casa. Riesce sempre a rilassarmi e a darmi nuovi stimoli, che di solito sono le due grandi ragioni per cui si viaggia. E visto che in tanti continuavano a chiedermi consigli, alla fine abbiamo deciso di fare questa pubblicazione. Anche perché l’amore per la Grande Mela è un virus diffuso in tutta la casa editrice”.
Luogo del cuore?
“Sono appassionato di cimiteri, ho condiviso i migliori, alcuni con una bellissima vista su Manhattan”.
Il posto da evitare?
“Per dirla con David Foster Wallace, una cosa divertente che non farò mai più è la gita con battello alla Statua della Libertà”.
Com’è l’esperienza con la casa editrice?
“Per ora ottima. Riusciamo a fare bene e siamo in attivo. Avevo iniziato per gioco queste recensioni veloci su Instagram e da lì si è creato uno zoccolo duro di appassionati, con uno stesso gusto letterario. Su quello è poi cresciuto il progetto, insieme ad alcuni amici con cui condivido la linea editoriale. Pubblichiamo solo i libri che onestamente ci piacciono”.
Mi sa che sceglie così anche i programma da condurre.
“Sì, per me è fondamentale fare qualcosa che mi diverte e in cui credo, andare volentieri al lavoro. Mi rendo conto possa suonare infantile, difficile fare sempre quello che piace”.
Sanremo?
“È andata bene. Non mi aspettavo però quel tipo di frullatore, mi ha destabilizzato. La settimana precedente è bellissima, senti nell’aria l’elettricità di quando sta per succedere qualcosa, l’atmosfera non è ancora ossessiva. I giorni del festival invece sono pura esasperazione. La parte migliore è il lavoro, per il resto è invivibile, viene da chiuderti in camera”.
L’ultima sera sembrava quasi un valletto.
“Era il Sanremo di Carlo Conti, io e gli altri eravamo lì solo per supportarlo”.
Come gestisce l’ansia?
“Non l’ho mai avuta. Forse perché ho cominciato presto e senza che me ne rendessi conto erano già passati dieci anni, mi sembrava tutto naturale. Me la sono fatta sotto soltanto a teatro, quando ho debuttato con il tour. Mi domandavo cosa sarebbe successo se il pubblico non avesse riso alla prima battuta. Ora lo rifarei per il resto della vita”.
Il segreto di “Stasera c’è Cattelan”?
“La fedeltà di un pubblico piuttosto importante, lo spirito, la longevità. Siamo al dodicesimo anno, credo sia una delle seconde serate più lunghe dopo il Maurizio Costanzo Show”.
Gli ospiti che l’hanno divertita di più?
“Favino, Robbie Williams, Pozzecco, Elettra Lamborghini. Mi piacciono quelli che vengono e si lasciano andare. Che poi sono il 90%. Perché a differenza di qualche anno fa quando eravamo in pochi a guardare il David Letterman o il Jimmy Fallon, ora sono programmi più diffusi e gli ospiti hanno capito che molto della riuscita dipende da loro. Comunque gli sportivi mi hanno sorpreso in positivo”.
Nessuna risposta preconfezionata?
“Al contrario. Liberi dalle dichiarazioni striminzite del dopopartita, scopri persone curiose e brillanti, con una grande storia alle spalle”.
Anche i giornalisti paiono frizzantini: Andrea Scanzi settimana scorsa ha scatenato l’inferno in redazione…
“È un contesto in cui ci sta la battuta, al di là che ci sia un fondo di verità o meno. Solo che siamo un Paese in cui non si vede l’ora di sentirsi un po’ offesi”.
Quanto è cambiato dai tempi di TRL?
“Sono cresciuto, forse invecchiato. All’epoca ero più scemotto. Ma un po’ di stupidera me la sono tenuta, sono un grande fan del non prendersi troppo sul serio. Eravamo molto liberi. Nel nostro contesto vivevamo da popstar, fuori da quel mondo però rimanevamo dei perfetti sconosciuti. Cosa che forse ci ha permesso di mantenere i piedi per terra”.
Ha voglia di uno spettacolone nazionalpopolare?
“Non ci penso. Faccio duemila progetti, ne porto avanti cinque, ne concretizzo uno e mezzo. Quindi direi di no. O meglio: preferirei far diventare nazionalpopolare quello che piace a me. Anche perché ho 44 anni e forse è chiaro che certe cose non sono proprio il mio mondo”.