DIEGO VINCENTI
Cultura e Spettacoli

Stefano Nazzi sulla scena del ’crime’: “La forza dei casi riaperti? È la cultura del sospetto”

Per il giornalista e podcaster un’estate sui palchi a parlare di cronaca nera. “L’interesse del pubblico c’è da sempre, ora il trend è ’Non ci dicono la verità’”

Stefano Nazzi, 63 anni, in tour con ’Indagini Live’ (foto Jan P. Soltan)

Stefano Nazzi, 63 anni, in tour con ’Indagini Live’ (foto Jan P. Soltan)

Cernobbio (Como) – La cronaca nera: il grande fenomeno di questi anni. Insieme a tutto ciò che riguarda il cibo. Sono loro a contendersi l’inesauribile curiosità degli italiani. Gli omicidi e la cucina. Speriamo non si mischino. Storie d’adrenalina e di mistero per quanto riguarda il crime. Che hanno trovato il loro cantore in Stefano Nazzi. Giornalista e narratore. Seguitissimo. Anche a teatro. Dove ha trasferito il suo celebre podcast “Indagini Live”, continuando a fare numeri da capogiro. E domani arriva al Lake Sound Park di Cernobbio. Appuntamento sul Lario in Villa Erba. Questa volta per tornare alle vicende del Mostro di Firenze.

Nazzi, si può definire un caso irrisolto?

“Sicuramente è un caso strano e ancora aperto. Perché una condanna definitiva c’è stata per Mario Vanni e Giancarlo Lotti. Mentre Pacciani è morto da innocente, in attesa che si rifacesse il processo di appello che l’aveva assolto. Ma nonostante questo, tante domande non hanno trovato risposta”.

Che idea si è fatto?

“Non è che ci fossero chissà quali prove a carico dei due famosi “compagni di merende”. E i processi sono stati piuttosto curiosi. Contro Pacciani c’erano invece diversi elementi ma è difficile farsi un’idea chiara, anche su possibili mandanti. Credo però ci sia qualcosa nell’ipotesi che più persone fossero coinvolte, allo stesso livello, a prescindere dalla provenienza sociale”.

Com’era l’Italia all’epoca?

“Impaurita. In quelle zone cambiò il modo di vivere, i genitori impedivano ai figli di uscire. C’era davvero il timore di rimanere vittime di questo mistero di cui non si riusciva a venire a capo nonostante i mezzi a disposizione. Il concetto poi di serial killer era del tutto inedito, lo si legava ad altri orizzonti, all’America. E così finì per essere un caso che durò tantissimi anni, dal 1968 al 1985”.

Ecco: il contesto non pare particolarmente brillante, come fecero i responsabili a nascondersi così a lungo?

“Non c’erano le cognizioni d’indagine che abbiamo oggi. Pensi che nel primo omicidio si scoprì solo all’autopsia che erano stati sparati dei colpi di pistola, tanto che si tornò indietro a cercare i bossoli. E non c’era all’epoca la cura di preservare la scena del crimine. Quando furono uccisi i due ragazzi tedeschi, un agente della polizia salì sul loro furgoncino Volkswagen per guidarlo fino al commissariato, distruggendo qualsiasi indizio utile. Oggi credo che sarebbero immediatamente presi”.

Tutta questa nera non le toglie il fiato?

“No, circoscrivo. È solo una parte dei miei interessi. Ed è solo una parte della vita delle persone. Una parte piccola, casi isolati”.

Casi che ha cominciato a portare in tv per la Rai, partendo da Yara Gambirasio. Quella vicenda cosa ci racconta?

“È un’indagine enorme, non solo per gli standard italiani, che sottolinea il ruolo centrale delle analisi biochimiche. Credo poi sia molto significativa perché racconta di un vero e proprio filone narrativo di successo: prendere un processo e ribaltarlo. Ovvero, anche di fronte a sentenze passate in giudicato, cercare l’elemento che può confutare tutto. Approccio legittimo ma che si lega a una tendenza fortissima nel nostro Paese, che è quella del “Non ci dicono la verità””.

L’attitudine complottista?

“La cultura del sospetto, la convinzione che ci tengano nascosto qualcosa. Idea per altro a lungo motivata, perché è un fatto storico che negli anni 60 e 70 c’erano narrazioni in cui la verità era assente. Ma oggi ho qualche dubbio rispetto a questi processi. Anche se una cantonata può capitare”.

Garlasco?

“La Procura di Pavia è convinta del coinvolgimento di Sempio. Ma non mi pare ci siano elementi chiave. Anche questa nuova traccia di Dna va capita. E chissà alla fine cosa rimarrà di davvero utilizzabile”.

A Milano per fortuna niente cadaveri ma la situazione è nerissima.

“Bisognerà riuscire a distinguere cosa è penalmente rilevante. Certo emerge con forza una tendenza ormai diffusa che è quella di far gestire tutto dal mondo degli affari, dalla finanza. Non so che sviluppi avrà l’inchiesta. Ma è la testimonianza di come ci troviamo di fronte a una politica che ha fatto un passo indietro rispetto ai grandi interessi, concependo la città esclusivamente come luogo deputato al business, agli interessi dei capitali”.

Parlando con Crepet (nei giorni scorsi anche lui ospite a Cernobbio), lo psichiatra ha definito la cronaca nera un “anestetizzante fantastico”.

“Guardi, gli do in parte ragione. Perché se la notizia più rilevante diventa la Procura di Pavia per Garlasco e non quello che sta succedendo a Gaza, allora c’è qualcosa di distorto nel nostro modo di dare rilevanza agli avvenimenti. Poi in realtà l’interesse per certe cose c’è sempre stato, non è una novità”.

Si sono però moltiplicati i canali di accesso.

“Sì, gli strumenti. A partire dai social che hanno cambiato la nostra percezione. È lì che un caso di cronaca minore inizia ad essere ingigantito, trovando una rilevanza non tradizionale”.

Ma parlerà di omicidi tutta estate?

“Mi fermo il 31 luglio. E poi mi concentrerò sul preparare la nuova “Indagine Live” da portare nei teatri. Ma non prima del 2026”.