
Il chitarrista del gruppo simbolo del prog rock torna in concerto a Milano con il suo progetto solista
Mattina presto a Manhattan.... Cinquant’anni dopo, Stevie Hackett torna a raccontare la storia di Rael con quel “Genesis Greats, Lamb Highlights & Solo European Tour” in arrivo il 2 settembre agli Arcimboldi. Spettacolo celebrativo che somma suoni e umori dell’ultima fatica discografica solista pubblicata dal chitarrista londinese l’anno scorso, a quelli sempiterni di “Counting out time” e “The carpet crawlers”. Con lui Jonas Reingold (basso), Roger King (tastiere), Craig Blundell (batteria), Rob Townsend (fiati).
Steve, ma passare durante lo spettacolo da “The Circus and the Nightwhale” a “The Lamb lies down on Broadway” significa pure cambiare umore? "In tutte e due le narrazioni c’è uno stretto legame tra la dimensione intima e quella mitologica che, intrecciando reale e metaforico, finisce con l’avvicinare l’atmosfera dell’una a quella dell’altra".
Quale è stato il suo contributo più importante a “The Lamb”? "Riff accattivanti e svariate soluzioni musicali. Fra le tante canzoni sono particolarmente orgoglioso di ‘Fly on a windshield’ e del mio assolo su ‘The lamia’".
Che effetto le fa quell’album oggi? "Credo che ‘The Lamb’ continui a superare la prova del tempo. È una storia affascinante con testi straordinari e musica di alta qualità rispetto a tanta che si sente in giro oggi. Non nascondo, infatti, di essere molto preoccupato per la scena musicale attuale perché, sebbene i cantanti continuino a godere di grande popolarità, manca di stimoli per i musicisti, spesso sostituiti dalle macchine. In questo la musica da film rappresenta un’eccezione e compositori che stimo, come Hans Zimmer, hanno ancora la fortuna di non dover accettare troppi compromessi".
Tony Banks ha detto un paio di interviste che è lei a mantenere viva l’eredità della band. "Credo che Tony abbia ragione, perché cerco di onorare la storia dei Genesis. Riesco forse a dare un’energia particolare a quel repertorio perché, quale membro originale della band, sono stato coinvolto direttamente nella sua creazione".
Formidabili quegli anni. "Non mi nascondo che formazioni come i Genesis oggi avrebbero molte più difficoltà d’allora a lasciare il segno, perché la soglia d’attenzione dell’ascoltatore è notevolmente abbassata e la musica è diventata molto più industriale di quanto non lo fosse quando abbiamo cominciato noi".
Nel ’75 il tour di “The Lamb” fu abbastanza difficile, con Peter Gabriel sul piede di partenza. Com’era l’atmosfera su e giù dal palco? "Per la stima e il grande rispetto che ho sempre nutrito nei suoi confronti, avrei voluto Peter con noi ancora a lungo. Ma capivo anche il suo bisogno di autonomia. Sensazione condivisa in larga parte dai compagni. Così tutti mettemmo da parte le divergenze interne per creare uno spettacolo eccezionale, ben sapendo che sarebbe stato l’ultimo".
L’unico concerto italiano si tenne a Torino, dove ci furono degli scontri con la polizia attorno dal PalaRuffini. Cosa ricorda di quella sera? "Ricordo le contestazioni fuori dal palazzetto e una situazione tesa, se non addirittura pericolosa, per tutti. La cosa mi rattristò, perché già provavo per il pubblico italiano l’attrazione che ho oggi. E poi l’intero show era focalizzato su uno tra i migliori dischi dei Genesis, frutto di uno stato di grazia creativo che ci portava a rompere continuamente gli schemi e a sviluppare nuove idee musicali".
Era il quinto tour italiano dei Genesis in tre anni! "I Genesis hanno sempre amato questo Paese e la sua gente. Con un artista straniero, infatti, l’Italia riesce a essere meravigliosa in tanti modi, vuoi col calore umano, con l’entusiasmo dei fan, col cibo, col vino, coi paesaggi spettacolari, con le sue splendide città, col suo straordinario senso della storia. Ecco perché per tanti di noi rimane qualcosa di speciale".