Roma, 15 maggio 2025 – Nel 2025, la nuova inchiesta sull’omicidio di Chiara Poggi non punta solo a trovare un’arma, ma a testare la tenuta di una ricostruzione. Cambiano le domande, cambiano gli strumenti e con essi la profondità dell’indagine. Le perquisizioni nelle abitazioni di Andrea Sempio, dei suoi genitori e di due amici – sebbene al momento non abbiano prodotto sequestri – mostrano che oggi il cuore dell’investigazione non è ciò che si vede, ma ciò che si conserva altrove. Telefoni, computer e sistemi di archiviazione automatica non si limitano a registrare dove si trovava un corpo, ma descrivono l’intero ecosistema in cui quella presenza si è mossa. Intanto, dietro segnalazione di un super testimone, a Tromello, viene prosciugato un tratto di roggia per cercare un attizzatoio, forse l’arma del delitto.

Il testimone, intervistato dalla trasmissione Le Iene, dice di aver visto Stefania Cappa, cugina di Chiara, gettare un oggetto metallico nel canale il giorno del delitto. Ma un ricordo che riemerge con nitidezza dopo due decenni non può essere preso per buono solo perché dettagliato. La memoria umana, soprattutto se sollecitata da un’esposizione mediatica, non conserva: rielabora. Più passa il tempo, più si attivano processi di compensazione, di ricostruzione, di contaminazione emotiva e narrativa. E così, anche senza intenzione, ciò che si racconta può trasformarsi in un’idea coerente, non in una traccia genuina. Dunque, ammesso che quell’attizzatoio venga ritrovato, il tempo lo ha già svuotato di ogni potenziale probatorio: l’esposizione a pioggia, fango, vegetazione e ossidazione renderebbe impossibile il recupero di sangue, impronte o Dna.
L’oggetto, quindi, se compatibile con le ferite, potrebbe rafforzare un’ipotesi. Ma non dimostrarla. Ed è per questo che l’indagine si concentra oggi dove nulla si cancella del tutto: nel cuore della memoria digitale. Una rete Wi-Fi agganciata per pochi secondi, un backup mai disattivato: dettagli che, combinati, possono costruire una geolocalizzazione indiretta e ridisegnare i movimenti di Andrea Sempio e di sua madre, Daniela Ferrari, con una precisione che le parole non possiedono. E anche se un telefono non dice: “Ero lì”, può dimostrare che “non ero altrove”. E questo, in un’indagine, fa tutta la differenza. In questa nuova grammatica investigativa, la perquisizione diventa anche un test psicologico, forse addirittura un invito a mostrare reazioni. Chi ha qualcosa da temere, oggi, non teme il fango. Perché il ferro si ossida al contrario dei metadati. E la verità, quando è scritta nei log di sistema,non ha bisogno di ricordare: è già lì, in attesa che qualcuno sappia leggerla.