Roma, 15 maggio 2025 – “Poca prova, poca pena”. Sorridendo, così un avvocato mi spiegò come mai un suo cliente fosse stato condannato per un reato gravissimo e, allo stesso tempo, avesse ricevuto una pena incredibilmente bassa. E se pensiamo che Alberto Stasi, per un omicidio volontario, viene condannato a soli 16 anni, allora forse quel detto ha qualche fondamento di verità.

Parliamoci chiaro. Se il caso di Garlasco fosse stato scritto da un giallista, la trama in sé avrebbe dei buchi enormi. Andiamo con ordine. Uno, non c’è un movente: la Cassazione non lo indica, si parla solo di un generico attacco di rabbia di Stasi. Due, non c’è l’arma del delitto: e qui il lettore attento osserverà che nemmeno nel caso di Anna Maria Franzoni, Cogne, l’oggetto contundente che uccise il piccolo Samuele Lorenzi, esattamente come per Chiara, non venne mai ritrovato. Un mistero nel mistero. Tre, non c’è un percorso lineare della Giustizia, anzi, è un ripetersi di situazioni uguali e contrarie. Primo grado: Stasi assolto. Appello: Stasi assolto. Cassazione: assoluzione annullata e appello bis per svolgere esami genetici sul capello trovato tra le mani della vittima, non noto nel primo giudizio, e su residui di Dna sotto le unghie di Chiara, mai analizzati. Appello bis: i nuovi esami sono un buco nell’acqua, il Dna sotto le unghie non è attribuibile a nessuno perché pochissimo e degradato, ma la corte ribalta tutto e condanna Stasi a 24 anni (16 per il rito abbreviato) escludendo le aggravanti della crudeltà e della premeditazione. Cassazione bis: il procuratore generale chiede l’annullamento della condanna, ma la Corte conferma. Perché Stasi sarebbe colpevole? Perché il killer di Chiara sapeva come muoversi nella casa, la conosceva; perché Stasi aveva una bici simile a quella vista da alcuni testimoni nell’ora compatibile con il delitto; perché Stasi ha un alibi traballante; e perché ci sono le impronte del presunto assassino che avrebbe calzato scarpe taglia 42 come Stasi. No, troppi ‘buchi’ nella trama di un giallo scritto male. Per me, tutto ciò basta a dire “poca prova, poca pena”. Ossia, Stasi condannato a 16 anni per un delitto da ergastolo.
Un altro assassino viene ricercato adesso, 17 anni dopo? Quello di Chiara è un ‘cold case’ che ha nuove soluzioni possibili? A oggi una verità processuale c’è. Tutto il resto è materiale neppure buono per un ‘noir’ o un ‘legal thriller’ decente.
A me tornano in mente le parole del generale Luciano Garofano, ex comandante dei carabinieri del Ris: “Un caso lo riapri se ci sono novità scientifiche o nuove testimonianze. Altrimenti rischia di essere un esercizio narcisistico”. C’è una corsa a riaprire casi dopo sentenze definitive che comincia in tv e fa un sacco di rumore, ma poi la bolla di sapone scoppia. E nulla resta.
Anzi no, qualcosa resta sempre: il dolore di chi ha perso qualcuno che amava. Al di là di ogni ragionevole dubbio.