
L'assalto al portavalori
Turate (Como), 17 luglio 2015 - «Non si configura una rapina, ma solo una grande messa in scena. Nella quale Agresti non ha avuto alcuna parte, perché era altrove». Con queste parole, l’avvocato Giuseppe Cioce, nel primo pomeriggio di ieri ha concluso la sua arringa in difesa di Antonio Agresti, bracciante agricolo di 43 anni di Andria, accusato di essere uno dei due capi del commando che l’8 aprile 2013 ha assaltato e rapinato un blindato della Battistolli a Turate sulla A9. La difesa aveva chiesto la piena assoluzione, ma i giudici della Terza Sezione penale della Corte d’Appello di Milano, hanno ritenuto solida la sentenza di primo grado, confermando la condanna a 20 anni di carcere, per quel colpo cinematografico da 10 milioni di euro in lingotti d’oro.
Il massimo della pena al netto del rito abbreviato scelto in primo grado, per un colpo ritenuto «uno dei più gravi che il codice penale possa prevedere», come aveva ribadito all’epoca il pubblico ministero Antonio Nalesso. Nel recepire e confermare i motivi che lo scorso 23 dicembre avevano portato alla sua prima condanna, il Collegio sembra aver ritenuto credibili e fondate le dichiarazioni di Massimiliano Milano, collaboratore degli inquirenti che, pur escluso dalla rapina milionaria, aveva assistito alle fasi preparatorie, ed era stato in grado di riferire una serie di circostanze.
Confusionarie e apparentemente imprecise in alcuni passaggi, ma sufficienti a fornire agli inquirenti della Squadra Mobile di Como, una serie di input che erano stati poi verificati e confermati. Tra cui il riconoscimento di Antonio Agresti. Sentito come testimone nel processo a carico di Giuseppe Dinardi - unico coimputato di Agresti, che ha scelto il dibattimento andando incontro a una condanna piena, 30 anni di carcere - Milano aveva tentato di smentire le sue affermazioni, ma i giudici avevano acquisito i verbali dei suoi interrogatori accogliendo la possibilità che si fosse sentito minacciato. Sulla poca credibilità di Milano ha insistito anche la difesa di Agresti – avvocati Giuseppe Fiorella di Milano e Giuseppe Cioce di Bari – elencando una serie di contraddizioni la cui evidenza avrebbe dovuto portare ad escludere la certezza della responsabilità del loro assistito.
Altro elemento su cui ha fatto leva la difesa, è stato il ritrovamento di un lingotto d’oro da 6 chili in casa dell’imputato, che secondo i legali doveva essere riconosciuto come totalmente estraneo al colpo, in quanto quei lingotti pesavano esattamente il doppio.