Naziskin assolti, per i giudici non ci furono violenza o minacce. Volevano solo disturbare

Riunione di Como senza frontiere interrotta: sono destinate a fare discutere le motivazioni che hanno portato i giudici dell’Appello a liberare gli estremisti di destra da ogni addebito

Un fotogramma del video con la lettura del proclama anti-integrazione

Un fotogramma del video con la lettura del proclama anti-integrazione

Quei naziskin che costrinsero un gruppo di antifascisti ad ascoltare un loro proclama contro l’accoglienza degli immigrati furono certamente “arroganti” ma non si resero responsabili del reato di violenza privata. Sono destinate a fare discutere le motivazioni che hanno portato i giudici della seconda sezione della Corte d’Appello di Milano ad assolvere – “perché il fatto non sussiste” – da qualsiasi addebito i 13 neonazisti che nel novembre del 2017 interruppero una riunione dell’associazione “Como senza frontiere” in cui si discuteva di migranti.

Gli estremisti di destra diedero lettura di un comunicato del Fronte Veneto Skinhead, associazione cui fanno riferimento, in cui ci si scagliava contro le politiche di accoglienza e integrazione. 

I perché dell’assoluzione

“Certamente – si legge nelle motivazioni della sentenza – si è trattato di una arrogante messa in scena, con il solo intento di obbligare all'ascolto della lettura integrale del comunicato del Fronte Veneto Skinhead. Da parte dei 13 estremisti di destra condannati in primo grado, però, non vi fu violenza privata”.

I volontari filmarono con il telefonino la scena che, postata sul web, suscitò polemiche. A detta dei giudici in quei fotogrammi, così come nelle testimonianze rese al processo, non emergerebbero quella violenza e quelle minacce “necessarie” per la configurazione del reato di violenza privata. Secondo la Corte, infatti, “per la violenza privata non basta la costrizione a fare o a tollerare qualcosa”.

La ricostruzione della scena

Per i giudici, certamente quell'ingresso fu “scenografico” e “arrogante”, e sicuramente la riunione che era in corso "fu interrotta con l'intento evidente di disturbare”. I tredici imputati “nemmeno si scusarono”, ed era evidente pure che “volevano stare in piedi in quanto sapevano già prima come disporsi”, cioè alle spalle dei volontari di Como senza frontiere, seduti al centro della stanza.

Nonostante ciò non è ravvisabile un “marcaggio a uomo” e neppure un “accerchiamento intimidatorio”, seppur scenografico. Anche la “costrizione non c'è stata”. La riunione, infine, sono sempre i giudici a dirlo, si era svolta in un “edificio pubblico aperto a tutti” con un “cartello che indicava la stanza e l'orario dell'assemblea”, in cui gli imputati erano entrati “senza forza, in fila indiana e senza rumoreggiare”, dunque “senza fare irruzione”

Queste le opinioni dei giudici. Chissà se corrispondono a quelle degli iscritti a “Como senza frontiere” che parteciparono alla riunione interrotta con una certa decisione dai naziskin.