Morti in corsia a Saronno: Cazzaniga, una strategia lucida e micidiale

Le motivazioni della sentenza di condanna in primo grado all’ergastolo per l’anestesista: "Accentuato disvalore delle condotte"

Leonardo Cazzaniga in Aula a Busto Arsizio

Leonardo Cazzaniga in Aula a Busto Arsizio

Saronno, 28 aprile 2020 - «Va rilevato come si tratti dell’omicidio di soggetti fragili, isolati dai propri familiari, assenti o più spesso fatti avvicinare solo dopo la somministrazione del cocktail di farmaci, in stato di incapacità tale da non poter opporre alcuna resistenza all’azione posta in essere dall’imputato". In 673 pagine il presidente estensore Renata Peragallo motiva la sentenza con cui, il 27 gennaio, la Corte d’Assise ha condannato all’ergastolo Leonardo Cazzaniga, ex aiuto primario in pronto soccorso a Saronno, ritenuto colpevole di dieci dei dodici omicidi di pazienti in corsia per cui è stato processato (Pietro Oliva, Federico Mascazzini, Mario Volontè, Virginia Moneta, Giacomo Borghi, Antonietta Balzarotti, Pier Francesco Leone Ferrazzi, Giuseppe Pancrazio Vergani, Luigia Lattuada, Angelo Lauria) e per quelli di Massimo e Luciano Guerra, rispettivamente marito e suocero di Laura Taroni, all’epoca sua compagna.

Secondo la sentenza tutti i decessi sarebbero stati provocati con la somministrazione di farmaci in sovradosaggio e in rapida sequenza, applicando il “protocollo” che il vice primario aveva elaborato. Cazzaniga era stato assolto per le morti ospedaliere di Antonino Isgrò e Domenico Brasca perché il fatto non sussiste e dall’accusa di omicidio di Maria Rita Clerici, madre della Taroni per non avere commesso il fatto. "La Corte - scrive la sentenza - ha tenuto conto dell’accentuato disvalore delle condotte perpetrate dall’imputato, come attestata dalla reiterazione dei reati, tutti commessi nel periodo dal novembre 2010 all’agosto 2014, quindi in un arco temporale piuttosto lungo. Il lasso di tempo di commissione dei reati contestati è simbolo tangibile di una spiccata pervicacia dello stesso imputato nella reiterazione dei reati". Da notare, annota severamente la sentenza, "come tutta l’attività dell’imputato si sia caratterizzata per la sua lucidità e micidialità"

Nessuna volontà di uccidere, ha sempre sostenuto Cazzaniga, ma il desiderio di alleviare le sofferenze di pazienti avviati all’exitus. I periti hanno invece messo in luce una personalità tratteggiata da arroganza e presunzione. Non ha agito per compassione. "Dall’analisi sull’imputato si è appreso della sua difficoltà ad assistere alla sofferenza, non tanto per “pietas” nei confronti degli agonizzanti, quanto piuttosto per superare la sua difficoltà ad assistere alla sofferenza altrui, pur senza immedesimarsi nel sofferente". In seguito ha tenuto un "comportamento indifferente e privo di qualsiasi gesto di resipiscenza o di preoccupazione per le conseguenze di quanto commesso".

È un lungo percorso quello dell’omicidio di Massimo Guerra per il quale "sono state reiterate nel tempo condotte di somministrazione di farmaci all’insaputa della vittima, a fronte di una strategia concordata con Laura Taroni". La donna lamentava come il marito la sottoponesse a pratiche sessuali violente. Secondo i giudici di Busto "Leonardo Cazzaniga non tiene un comportamento di mera partecipazione morale al delitto, ma ne risulta partecipe attivo a partire dal disegno ideativo, alla sua concreta realizzazione mediante i falsi certificati con i quali formula la falsa diagnosi di diabete (questo per convincere Guerra della sua malattia e della necessità di una terapia, ndr) e compila le prescrizioni di metformina". Quanto all’omicidio di Luciano Guerra, padre di Massimo e suocero della Taroni, ricoverato nel reparto di Medicina, Cazzaniga consegna alla compagna una siringa riempita con almeno 5 cc di Midazolam accompagnandola con la frase "Fa quello che ritieni giusto".