
Dogana al confine tra Italia e Svizzera
Como, 3 settembre 2014 - Como e Chiasso confinano tra di loro, ma per il mondo dell’economia è come se fossero agli antipodi. Sul Lario negli ultimi dodici mesi la media è stata di un’azienda chiusa al giorno, non solo piccole realtà artigiane incapaci di adattarsi al mercato globale, ma anche grandi realtà con decine o addirittura centinaia di dipendenti inesorabilmente piegate dalla crisi. Se da noi sembra di vivere nella favola di Cenerentola, senza però il ballo, la scarpetta di cristallo e soprattutto il principe azzurro, dall’altra parte del confine la favola è quella di Heidi, con tanto di lieto fine. L’economia elvetica non è mai stata così sana. In Canton Ticino il Pil registra una crescita del 6% in più rispetto allo scorso anno, alla rincorsa dei ricchi e popolosi distretti del Nord come Berna e Zurigo dove a farla da padrone sono le case farmaceutiche, gli uffici delle grandi multinazionali, le assicurazioni e gli istituti di credito. Il Canton Ticino si accontenta del quarto posto, nella classifica elvetica delle aree dove l’economia è più florida, ringraziando anche gli italiani che da queste parti forniscono forza lavoro e qualche volta anche imprenditori. Sui frontalieri niente da dire, negli ultimi mesi hanno sfondato quota 62mila, un vero e proprio record alla faccia del referendum del febbraio scorso che vorrebbe riportare in Svizzera le quote di immigrati. Dal punto di vista degli industriali italiani l’analisi è più complessa.
La Confederazione Elvetica può rappresentare un’ottima occasione per ampliare i propri affari e affermarsi sui mercati internazionali, ma necessità di grosse capacità d’investimento e una solida organizzazione. Lo sanno bene i 395 imprenditori, la maggior parte dei quali italiani, che per cambiare aria e pagare meno tasse sono finiti per rimetterci le loro aziende. In cerca di una onorevole alternativa all’Italia avevano ceduto alle lusinghe giunte da oltreconfine. Di fronte ai rigidi controlli, ai costi della manodopera e di affitto dei capannoni (anche quattro volte più alti rispetto alla media italiana), in tanti dopo neppure dodici mesi sono stati costretti a consegnare i libri in tribunale. Addirittura in un solo anno le chiusure imposte per lacune organizzative sono lievitate da 39 a 189, quasi tutte ai danni di imprese “trapiantate” in Ticino. «Della Svizzera dobbiamo imparare a imitare il modello organizzativo - conclude Mauro Frangi, vicepresidente della Camera di Commercio di Como e coordinatore del Tavolo della Competitività - Rapidità della giustizia e semplificazione burocratica sono due riforme a costo zero che potrebbero tranquillamente giovare anche alle nostre imprese. Senza obbligarle a cercare vie di fuga altrove».