
Un corso di primo soccorso
Carugo (Como), 11 giugno 2019 - «Non sono un eroe, ho fatto solo quello che mi sembrava giusto fare in quel momento. Anzi se devo dirla tutta forse sono stato un po’ incosciente, ma io sono fatto così: se posso dare una mano non mi tiro indietro». Il primo requisito di ogni eroe è che non sa di esserlo, una patente del genere occorre conquistarsela sul campo e Cristiano Masseroni, 52 anni operaio di Carugo, se l’è meritata per aver salvato una bimba di cinque anni che ha rischiato di morire dopo la caduta in un piscina, domenica in un agriturismo di Volta Mantovana. «Ho ancora l’adrenalina addosso per quel che è accaduto ieri e scommetto che mi accompagnerà ancora a lungo. Mi trovavo in questo agriturismo perché do una mano all’associazione Amici del Randagio che si occupa del canile di Mariano Comense, domenica eravamo a Mantova per aiutare un’altra associazione che si occupa delle adozioni in Italia di cuccioli e cani abbandonati in Spagna. Terminata la parte ufficiale ci siamo fermati a pranzo in questo agriturismo, Cascina Boschi, dove c’erano anche tante famiglie e tanti bambini». Una domenica che però si è trasformata in dramma quando una bimba di appena cinque anni si è sentita male nella piscina dell’agriturismo. «Non so se ha avuto un malore, di sicuro si trovava già in acqua e quando sono arrivato io alcuni ragazzi l’avevano già tirata fuori e adagiata a bordo vasca.
Una donna, che poi ho scoperto essere un’infermiera, si è avvicinata per soccorrerla e mi sono messo accanto a lei spiegando che avevo appena fatto un corso di primo soccorso nell’azienda dove lavoro. La bambina non respirava e abbiamo subito iniziato a praticarle il massaggio cardiaco. Non è vero che ha ripreso a respirare dopo venti minuti, dopo i primi venti-trenta secondi ha iniziato a reagire e il respiro è ripreso, all’inizio in maniera molto flebile. L’abbiamo girata su un lato per farle sputare un po’ dell’acqua che aveva bevuto, poi abbiamo continuato anche con l’aiuto di un’altra donna, penso un’altra infermiera, che si è avvicinata».
«Sono state loro a guidarmi, ho cercato di replicare i movimenti e le compressioni che mi hanno insegnato al corso ma con più delicatezza perché non era un manichino, ma una bimba in carne e ossa. A un certo punto una delle due infermiere ha preso una penna e le ha spostato la lingua che era finita all’indietro, la bambina ha fatto un bel respiro e si è messa a piangere. E' allora che ho capito che ce l’avevamo fatta. Sono contento per tutti loro e spero che la piccola possa dimenticare al più presto la brutta avventura».