Il fidanzato di Cristina Mazzotti: "Le misero un cappuccio, è l’ultima immagine che ho di lei"

Carlo Galli e la compagna erano insieme il 1° luglio 1975 quando lei fu rapita: "Era la ragazza giusta, è stata con me per tutta la vita. L’inchiesta? Spero porti alla verità"

Cristina Mazzotti fu sequestrata nel 1975 a diciott’anni, morì nelle mani dei rapitori

Cristina Mazzotti fu sequestrata nel 1975 a diciott’anni, morì nelle mani dei rapitori

Eupilio (Como) –  La tragedia di Cristina ha modificato il corso della mia vita, l’ha cambiato". Carlo Galli porta con vivacità i suoi 68 anni di vita intensamente vissuta. Era il fidanzato di Cristina Mazzotti. La notte del primo luglio del 1975 era con lei e con Emanuela Luisari, l’amica del cuore di Cristina. Guidava la Mini Minor lungo la strada che da Longone al Segrino porta a Galliano di Eupilio, nel Comasco, dove la famiglia Mazzotti aveva la villa delle vacanze. Lì l’auto venne bloccata dal commando dei sequestratori che si allontanò poi con Cristina. Il primo settembre il corpo senza vita della studentessa diciottenne venne ritrovato in una discarica a Galliate (Novara).

Carlo Galli, da quanto tempo era nata l’intesa sentimentale con Cristina Mazzotti?

"Da sei mesi. All’epoca abitavo a Civenna. Eravamo una compagnia molto numerosa di amici, c’era gente che veniva anche da Milano. Il nostro punto di ritrovo era il bar Bosisio di Erba. Il sentimento con Cristina è nato così, dall’amicizia".

Come la ricorda?

"Dolce, dolcissima. Ma con il suo caratterino, la sua personalità. Era la ragazza giusta. Ricordo un soggiorno al Pian delle Betulle, una settimana prima del fatto. Il mare a Sestri Levante. O quando si andava a Luzzara, dove la famiglia Mazzotti aveva i cavalli. Io ero un buon cavallerizzo, Cristina un po’ meno".

Quella sera, quella notte.

"Cristina aveva appena superato l’esame di maturità classica a Milano. Con la nostra compagnia avevamo fatto un giro a Como per un gelato, poi al solito bar di Erba. Non avevo la mia auto, un Maggiolone Volkswagen, e avevo chiesto a mia sorella di prestarmi la sua Mini. Non era neppure tardissimo quando abbiamo deciso di tornare. Si andava verso Eupilio ascoltando musica. Su un rettilineo ci ha superato un’Alfa. Niente di strano, forse andava un po’ più veloce del normale. Cento metri più avanti abbiamo girato sulla destra. Una 125 ci ha bloccato, mentre l’Alfa si è allontanata. Da un cespuglio sono saltati fuori in due o tre, armati e a volto scoperto. Forse è sceso qualcuno anche dalla 125".

Ha pensato che si potesse trattare di un sequestro?

"Le ragazze si sono spaventate. Io ho pensato a una rapina. Minacciandoci con le pistole, ci hanno fatto scendere dalla Mini, per poi ordinarci di risalire e sederci tutti e tre sul sedile posteriore. Uno si è messo al volante e un altro al posto del passeggero. Incominciavo a capire che non era una rapina. Ogni tanto cercavo di alzare lo sguardo, ma appena lo facevo quello vicino al guidatore mi colpiva alla testa con il calcio della pistola. Siamo arrivati ad Appiano Gentile e siamo entrati in un bosco. Lo ricordo come se fosse appena successo. Forse c’era una terza persona. ‘Chi è Cristina Mazzotti?’, ha chiesto uno. Cristina ha risposto subito. Le hanno messo un cappuccio e se la sono portata via. È l’ultima immagine che ho di lei".

Subito dopo cosa è accaduto?

"A me e a Emanuela hanno messo un tampone sul naso per narcotizzarci. Non ricordo se lo hanno fatto subito o se si sono allontanati per poi ritornare. Però l’operazione non è riuscita e non ci siamo addormentati. Quando siamo stati soli, ci siamo messi a camminare nel bosco in cerca di aiuto. Ci pareva di avere percorso chilometri, avremo fatto 200 metri. Abbiamo suonato in una villa. È uscito un signore distinto, il maggiordomo. Da lì è partito l’allarme".

E sono iniziate l’attesa, le telefonate, le richieste di riscatto.

"Hanno chiamato anche a casa mia: ‘Tirate fuori questi soldi’. Telefonavano anche degli sciacalli. Emanuela si è trasferita da me, a Civenna. Speravamo, riuscivamo persino a essere sereni: Cristina è viva, il riscatto è stato pagato, presto la rivedremo. Abbiamo saputo dal telegiornale della notte che era stata ritrovata morta".

La sua vita da allora?

"Un turbamento grandissimo. A vent’anni la morte è difficile da accettare. Ricordo con grande tenerezza che durante il sequestro la famiglia di Cristina mi aveva prestato un cane boxer, come compagnia. La mia vita è cambiata da subito. Ero iscritto a Medicina a Pavia. C’era l’obbligo di frequenza. L’idea di tornare a Pavia, di ritrovarmi nel mio appartamento di studente, no, non riuscivo. Così sono passato a Giurisprudenza, dove non era richiesta la frequenza. C’è stato tutto l’iter delle deposizioni, dei confronti faccia a faccia con gli arrestati, dei processi".

A distanza di quasi mezzo secolo, che sentimenti prova?

"Allora il sentimento dominante era la vendetta. All’uscita da un’udienza in tribunale un giornalista mi chiese se fossi favorevole alla pena di morte. Ho risposto di no, che non serviva a niente, meglio l’ergastolo. Il pensiero dolcissimo di Cristina mi ha accompagnato per tutta la vita. Sono legati a lei tanti ricordi del passato che, mentre il tempo trascorre e io invecchio, si sono fatti più vivi, più presenti".

C’è una nuova inchiesta giudiziaria, la terza. A Milano è in corso l’udienza preliminare con quattro persone imputate, fra ideatori ed esecutori del sequestro. Cosa spera?

"Spero che porti alla verità, alla giustizia piena. Anche se sono trascorsi cinquant’anni".