Como - "Quando l’ho vista, ho subito temuto che non fosse più viva. Non si muoveva". Una posa innaturale della bimba sul divano, nessuna reazione quando aveva cercato di svegliarla, convinta inizialmente che stesse dormendo.
La testimonianza della nonna di Sharon Barni, è stato uno dei momenti più toccanti del processo che si è aperto ieri davanti alla Corte d’Assise di Como contro Gabriel Robert Marincat, il rumeno di 25 anni compagno della madre della piccola vittima, e da pochi mesi suo convivente, accusato di omicidio volontario aggravato e violenza sessuale della bimba di 18 mesi. Il pubblico ministero Antonia Pavan ha chiamato in sequenza, a partire dei carabinieri della Tenenza di Mariano Comense che avevano svolto le indagni, tutte le persone che hanno contribuito a ricostruire cosa è accaduto quel giorno, l’11 gennaio scorso, quando la piccola era stata soccorsa nel tardo pomeriggio e portata all’ospedale di Bergamo in coma, senza ormai nessuna speranza di poterla salvare.
A trovarla era stata proprio la nonna, dopo che la piccola aveva passato il pomeriggio affidata alle cure di Marincat: l’uomo fin da subito aveva sostenuto che la bimba si era ferita con una stufetta elettrica che le era caduta addosso in bagno, e che per tutto il pomeriggio non aveva mostrato nessun problema, fino ad addormentarsi. Ma l’autopsia, un esame che in quel caso si era rivelato particolarmente complesso, aveva portato a una ricostruzione dei fatti ben diversa, sfociata nelle attuali accuse contro il venticinquenne. Non solo le lesioni alla testa non compatibili con quell’incidente domestico, ma anche l’abuso sessuale. Interrogato due volte, Marincat aveva ammesso di aver usato violenza nei confronti della piccola, picchiata a più riprese quel giorno, colpita anche in testa, e di averne abusato sessualmente. Senza però giustificare la sua condotta, o spiegare cosa l’aveva scatenata. "Ero nervoso", si era limitato a dire al giudice, durante l’interrogatorio che aveva fatto seguito al suo arresto, avvenuto due settimane dopo la morte della piccola.
Ieri è stato ascoltato anche lo spacciatore che riforniva Marincat di metadone, e che anche l’11 gennaio, nel tardo pomeriggio, lo aveva incontrato. L’uomo ha raccontato che quel giorno il ragazzo era agitato, andava di fretta, e gli aveva detto: "Ho combinato un guaio", senza aggiungere niente altro. Altri testimoni chiamati ieri, tra cui il nonno, la madre, e i vicini di casa, hanno aiutato a capire lo stato emotivo della bimba e il rapporto che aveva creato con Marincat, in quel brevissimo periodo di conoscenza e convivenza. Il processo prosegue a novembre.