Brescia, 7 dicembre 2024 – “Ma quali ambasciate? Quali pizzini? Suor Anna non ha fatto nulla di tutto questo e lo dimostrerà”, sbotta l’avvocato Robert Ranieli. Suor Anna è Anna Donelli, la 57enne religiosa cremonese, storica volontaria delle carceri - da San Vittore a Brescia - finita l’altroieri ai domiciliari nella sua abitazione alla periferia di Milano nell’ambito di una doppia inchiesta della Dda di Brescia con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.
Suor Anna, ritengono gli inquirenti, avrebbe dato una mano concreta e continuativa a Stefano Terzo Tripodi e al figlio Francesco, presunti boss di una potente ‘locale’ ‘ndranghestista contigua alla cosca calabrese Alvaro di Sant’Eufemia D’Aspromonte, radicata nel Bresciano.
Marionetta dei boss?
Tripodi padre, per sua stessa ammissione “santista”, dote di massimo grado nelle gerarchie sociali delle ’ndrine, dalla sua officina meccanica e da una fabbrica di rottami di Flero, primo hinterland di Brescia, secondo l’accusa spadroneggiava, intessendo insidiosi fili con imprenditori e politici e persino con una suora “amica”.
“Lei è una dei nostri” diceva Tripodi. Suor Anna nella prospettazione accusatoria era appunto un’ambasciatrice di “ordini, direttive, aiuti morali e materiali ai sodali o contigui” finiti dietro le sbarre, scrive il gip Andrea Guerrerio che ha firmato oltre 30 misure cautelari e il sequestro di 1,8 milioni di euro, “utili a pianificare strategie criminali di reazione” alle attività delle forze dell’ordine e della Procura.
Le contestazioni alla monaca
La religiosa avrebbe aiutato i reclusi a comunicare con i parenti pur in presenza di un divieto e risolto dissidi tra fazioni in carcere per conto del boss, che le consigliava di presentarsi come “l’amica di Stefano”.
E di lei si fidava a tal punto da lasciarsi andare a dire in sua presenza, nella sua officina di Flero, quanto fosse contento dei progressi di un suo dipendente - Andrea Costante, arrestato - cui stava insegnando a sparare e che avrebbe mandato a fare le rapine.
La difesa: “Tutto un equivoco”
L’avvocato Ranieli prima di sbilanciarsi vuole leggere bene tutte le carte - “non entro nei dettagli” - ma mette le mani avanti parlando di “grosso equivoco” ingenerato dal ruolo di volontaria ricoperto da suor Anna, paziente costruttrice di relazioni e di fiducia.
Lei, un’infanzia e un’adolescenza “difficili”, suora da quando aveva 21 anni, tramite il suo legale si dice “scioccata, ma anche arrabbiata”. “Non vede l’ora di parlare con i magistrati per spiegare - chiarisce l’avvocato -. Lo faremo venerdì, quando verremo a Brescia per l’interrogatorio dal gip”.
Gli altri interrogatori
E a proposito di interrogatori, ieri sono comparsi davanti al giudice i primi detenuti. A cominciare da Francesco Tripodi, figlio del presunto boss e ritenuto suo braccio destro nella gestione dell’associazione finalizzata a tutta una serie di reati (lesioni, minacce, usura, estorsioni, traffico di armi e droga, ricettazioni, riciclaggio di montagne di cash da fatture false, voto di scambio).
Tripodi junior si è avvalso della facoltà di non rispondere. Il padre, Stefano Terzo, sarà sentito invece nei prossimi giorni.
Così come Giovanni Acri, l’ex consigliere comunale in Loggia per Fratelli d’Italia - fresco di un patteggiamento per una vicenda di corruzione - ai domiciliari a sua volta per concorso esterno nel clan.
“Acri ha messo in modo continuativo a disposizione di esponenti apicali del sodalizio la propria attività professionale di medico anche in occasione di ferimenti di esponenti di appartenenti al clan” ha scritto il gip. E Mauro Galeazzi, ex assessore in quota Lega a Castelmella che nel 2021 si candidò a sindaco (ma perse le elezioni) arrestato per voto di scambio.