BEATRICE RASPA
Cronaca

“Suor Anna Donelli è dei nostri”: un’intercettazione incastra la religiosa finita nell’inchiesta anti-ndrangheta

Classe 1966, origini cremonesi ma residente a Milano, la donna ha un passato tribolato segnato, nel 2001, dalla morte della sorella gemella in un incidente. Per anni l’impegno nelle carceri

Nel riquadro suor Anna Donelli

Nel riquadro suor Anna Donelli

Brescia – Tra i detenuti era soprannominata “Collina2 per il suo ruolo da arbitro durante le partite di calcetto concesse durante le ore d’aria. Per quindici anni è stata volontaria a San Vittore e nel carcere di Brescia, ed è stato qui che per l’accusa suor Anna Donelli ha conosciuto i sodali del presunto clan ndraghesta capeggiato dalla famiglia Tripodi, titolari di uno sfasciacarrozze e un’azienda di rottami, la Stefan Metalli, a Flero, e di casa a Castelmella. Una conoscenza che ieri l’ha fatta finire ai domiciliari per concorso esterno nel sodalizio.

Classe 1966, cremonese residente a Milano, in vecchie interviste la religiosa aveva confidato di essersi fatta suora (Suore della carità) a 21 anni dopo un’infanzia e un’adolescenza difficili, rispondendo “alla chiamata di qualcuno che inaspettatamente mi ha scelta” nonostante si fosse sempre sentita una nullità. Una storia costellata anche da grandi tragedie, la sua: nel 2001 suor Anna perse in un incidente, falciata da un tir, la sorella gemella, mamma di tre bimbi, un evento che segnò profondamente la sua esistenza. Dal 2010 scelse di frequentare assiduamente le carceri e le periferie, “una palestra di umanità che ha trasformato il mio sguardo – dichiarò – che ha iniziato a vedere prima di tutto la persona, l’uomo che mi sta davanti sia nell’autore del reato sia in chi lo subisce: dimensioni presenti pure dentro di me, grano e zizzania”.

Stefano Terzo Tripodi, il presunto boss che per i pm della DDA Teodoro Catananti e Francesco Carlo Milanesi dirigeva e cooordinava la “locale” federata alla cosca Alvaro, avrebbe addirittura riferito di un presunto patto in essere con la religiosa, così fidata da essere stata inviata a Canton Mombello per risolvere un dissidio tra detenuti a lui vicini. Uno era Francesco Candiloro, il pasticcere diventato tale per chi indaga proprio grazie ai Tripodi, arrestato nel 2019 per reati di mafia e ritenuto coinvolto nell’omicidio del fratello di un pentito e nell’organizzazione di un secondo delitto. A Candiloro suor Anna avrebbe dovuto presentarsi come “l’amica di Stefano”.

Intercettati nella loro officina, i Tripodi l’avrebbero indicata agli amici come una persona a cui chiedere in carcere, “se ti serve qualcosa dentro, è dei nostri”. Suor Anna poi si legge nell’ordinanza, sapeva con chi avesse a che fare. Stefano stesso “si vanta della propria capacità intimidatoria” in sua presenza “esprimendo apprezzamento per la crescita di un dipendente (Andrea Costante, tra gli arrestati, ndr) al quale avrebbe insegnato a sparare per mandarlo a fare rapine”.

Per il gip, Matteo Guerrerio, il rapporto tra la religiosa e i Tripodi “non appare né occasionale né insignificante”: “Il fatto di veicolare messaggi e comunicazioni nelle carceri costituisce indubbiamente un contributo causalmente rilevante ed efficiente alla conservazione e rafforzamento del sodalizio, riuscendo a raggiungere membri dello stesso caduti in regime di privazione di libertà e contribuendo a evitare possibili defezioni o collaborazioni”.