Milano – L’infanzia difficile, l’incomprensione coi genitori, la vocazione, poi la morte della sorella gemella e il servizio nelle carceri e nelle periferie di Pavia, Roma e Milano. La parabola della suora Anna Donelli, fino a una settimana fa, non sembrava destinata a svoltare nelle pesantissime accuse che la Direzione distrettuale antimafia di Brescia le ha mosso: la religiosa è stata arrestata, insieme ad altre 24 persone, perché si sarebbe messa “a disposizione degli esponenti” del clan di ‘ndrangheta dei Tripodi, una potente cosca radicata da tempo nel Bresciano.
La donna, che ora si trova agli arresti domiciliari, “è accusata di concorso esterno in associazione mafiosa”. Avrebbe stretto un “patto” con Stefano Tripodi, capo della famiglia mafiosa. Dalle intercettazioni è emerso, in particolare, “un dialogo tra Tripodi e Donelli in cui l’uomo chiedeva alla religiosa di incontrare Candiloro Francesco (detenuto per reati di criminalità organizzata) presso il carcere di Brescia e di stare con lui fino al momento in cui non fosse presente nessun’altro, per comunicare a Candiloro che lei era ‘l’amica di Stefano’”.
Le accuse
Gli inquirenti ritengono che la suora di 57 anni, tramite “la propria opera di assistente spirituale”, avrebbe aiutato i membri del clan a comunicare tra loro all’interno del carcere e, scavalcando i “divieti di colloqui”, anche con i familiari fuori dagli istituti penitenziari. Queste informazioni sarebbero state utili agli ‘ndranghetisti per “meglio pianificare strategie criminali di reazione alle attività investigative delle forze dell’ordine e dell’autorità giudiziaria”. La sua presenza serviva anche per “risolvere dissidi e conflitti tra i detenuti”.
Tra i reati contestati a vario titolo nei confronti degli altri indagati ci sono estorsione, traffico di armi e droga, ricettazione, usura, reati tributari e riciclaggio. È finito ai domiciliari anche Mauro Galeazzi, ex esponente della Lega nel Comune di Castel Mella, nel Bresciano. “Il dato inquietante è l’autorità del sodalizio criminale rispetto alla collettività civile. I politici locali coinvolti hanno dimostrato lo stretto rapporto con il gruppo Tripodi e i politici locali riconoscevano nel gruppo dei Tripodi l’autorità”. In pratica, “una sorta di para Stato” in cui sarebbe coinvolta anche suor Anna Donelli.
L’infanzia di Anna Donelli
La storia di suor Anna Donelli è stata oggetto nel 2019 di una trasmissione L’ora solare dall’emittente TV2000 e un anno fa, lei stessa si è raccontata all’interno del blog Voci dal ponte. Nello scritto, spiega di non aver passato “una bella infanzia e adolescenza tranne che a scuola o con gli amici fuori casa. Sono nata rifiutata e non potevo capire – come tutti i bambini – i problemi degli adulti (i miei genitori). Incassavo e cercavo di proteggere la mia sorella gemella e un’altra sorella, ero molto molto timida e certamente insicura. Nella pre-adolescenza e adolescenza mi sentivo e credevo ‘un nulla’. Ci facevamo forza – come non so – io e la mia sorella gemella.
Vocazione e perdita
Anna Donelli e ha iniziato il cammino per diventare suora a 21 anni, ma non frequenta ancora le carceri. Poi arriva la morte che la segnerà per sempre. “A 34 anni – racconta – ho perso mia sorella gemella, sposata da cinque anni, con tre figli piccolissimi (un mese e mezzo; due anni e mezzo e tre anni e mezzo) per un Tir pirata che le ha stretto la strada a senso unico e l’ha trascinata. Ha salvato i tre figlioletti che erano in macchina e ha lottato tra la morte e la vita senza farcela”.
Per quella tragedia, dirà la suora, non ci sarà giustizia. Suor Anna afferma che il questore “oltre ai 17 giorni di indagini, ha voluto attendere troppi giorni dopo la morte con la scusa di cercare ‘il colpevole’ che non ha mai cercato”. La corruzione – ha scritto la religiosa – “aveva avuto il sopravvento”.
Il carcere e “i mostri”
È solo dal 2010 che suor Anna prende servizio in carcere a tempo pieno e nelle periferie di Pavia, Roma e Milano. “Ho imparato a ri-conoscere i mostri e le miserie che sono in me – ha detto – assieme ai doni e a ri-conoscere quanto sia difficile metterli in dialogo perché dentro di me non facciano a pugni, ma possa prevalere la risorsa sul danno”. Ed è in questi anni che dice di aver sviluppato la consapevolezza che la cura della persona che ha commesso reato conta “quanto la cura della vittima o dei familiari della vittima”, “perché solo così si toglie potere al male che in ciascuno di noi abita assieme al bene”.