
Un'immagine dei momenti successivi alla strage di piazza della Loggia, il 28 maggio 1974. Tra le persone dietro il cordone di sicurezza si riconosce Marco Toffaloni (nel cerchietto)
Brescia, 3 aprile 2025 – Da 51 anni è il volto simbolo dei familiari della strage di piazza Loggia. Il volto pacato di chi cerca la verità senza arretrare ma senza accanimenti, senza derive giustizialiste, presente a tutti i processi – non solo a Brescia, ma anche a Roma e Milano – instancabile nella volontà di scandagliare le pieghe irrisolte della storia. Ieri Manlio Milani, che per la bomba del 28 maggio 1974 perse la moglie Livia, quando poco prima delle 18 è uscito dal Tribunale dei minori con in tasca la condanna a 30 anni nei confronti di Marco Toffaloni, aveva gli occhi lucidi. Da un lato è apparso sollevato, perché sa che il verdetto, seppure di primo grado, potrebbe avere un peso nell’altro processo tuttora in corso davanti alla Corte d’Assise, quello a carico dell’amico di Toffaloni Roberto Zorzi, l’altro presunto esecutore materiale della strage.

Il peso del tempo
Dall’altro è sembrato di colpo rimpicciolito, schiacciato da una fatica che d’un tratto si è fatta troppo gravosa: “Oggi più che mai sento il peso del tempo che è passato – ammette, con un filo di voce –. Soprattutto perché questa condanna certifica che tutti sapevano tre giorni dopo la strage, e aspettare 51 anni per la verità davvero è una cosa che mi sconvolge, mi riempie di domande, mi lascia attonito. Mi chiedo – prosegue con il groppo in gola –: ma perché non si è cercato di impedire? Se penso che dopo piazza Loggia c’è stato il treno Italicus, e poi altre stragi. In questo processo sono emersi questi aspetti, e le motivazioni saranno importantissime. Qui è emerso un quadro complessivo in cui le coperture erano il dovere assoluto, alla faccia del nostro Paese, e questo mi pesa enormemente”.

“Il mio grazie ai magistrati”
Tira un respiro profondo: “Sì, è giusto che ci sia stata questa sentenza e lo è che i magistrati siano andati avanti a fare il loro lavoro, ma è ingiusto che la magistratura sia messa sotto attacco in questo momento, perché vuol dire accentuare quella sfiducia nelle istituzioni che è stata il prodotto del terrorismo e oggi sembra proseguire”. E poi, lo sfogo: “Cinquant’anni dopo ci troviamo di fronte alla conferma di quella strumentalizzazione politica che è stata fatta della storia – si rammarica –. Arriva in ritardo questa giustizia, ma arriva, e per questo dobbiamo ringraziare i nostri magistrati che hanno condotto indagini e processo. Ma non posso nascondere la rabbia: chi sapeva ha taciuto. Ricorderò sempre il generale Gianadelio Maletti quando in aula ammise “noi sapevamo che il 28 maggio a Brescia doveva accadere qualcosa ma non pensavamo nei confronti delle persone“. "Le persone sono morte, e lui ha continuato a tacere. Le coperture rischiano di rimanere tali per sempre. Cinquant’anni trascorsi dovrebbero insegnarci qualcosa, eppure mi pare che non abbiano insegnato nulla. Se penso al decreto sicurezza e all’articolo 31, che vuol lasciar libertà assoluta a settori dei servizi segreti, ecco, qualcuno dovrebbe riflettere”.