Lovere (Bergamo), 17 dicembre 2024 – "Quando scopri un ambiente nuovo ti senti come l’uomo che è sbarcato sulla luna. L’emozione è tanta. È così che mi sono sentito scoprendo Fonteno, un momento indimenticabile”. Maurizio Finazzi è il presidente del gruppo speleo del Cai di Lovere.
Lo stesso di Ottavia Piana, 32enne di Adro, da domenica sera intrappolata nelle viscere dell’Abisso Bueno Fonteno, in Valseriana. Un’area carsica tra le più grandi d’Italia, che si stima si estenda per un centinaio di chilometri, di cui ne sono stati perlustrati per ora solo 36.
Quel labirinto di cunicoli l’ha individuato per primo nel 2006 proprio Finazzi, 64 anni, seguendo un fiotto d’aria provenire dal terreno, mentre era in compagnia di altri due speleologi del Cai di Lovere. Dieci anni dopo anche Ottavia è entrata a far parte del mondo degli esploratori del sottosuolo.
Cosa ha conquistato Ottavia?
“Da subito è rimasta affascinata dall’idea di trovare posti sconosciuti e di rilevare i corsi d’acqua. Il paesaggio sotterraneo è molto diverso da quello in superficie, perché non è falsato dalla luce e le rocce conservano l’aspetto originario, non sono smussate dagli agenti atmosferici, è il regno delle stalattiti e delle stalagmiti. E poi il lavoro speleologico è importante per più di un motivo".
Per esempio?
"Non solo per ragioni di studio scientifico ma anche di difesa ambientale. Noi speleo seguiamo le sorgenti e tracciamo i collegamenti delle risorse idriche e in caso di inquinamento possiamo anche trovare il punto di origine. Le grotte poi sono non di rado utilizzate come discariche abusive. Qui, da queste parti, non ci è capitato di imbatterci in rifiuti, ma a San Fermo invece li abbiamo trovati eccome. Ecco, in casi simili facciamo operazioni di pulizia”.
Come funzionano le vostre missioni esplorative?
"Procediamo seguendo la direzione dell’acqua e dell’aria. Aprirsi un passaggio molte volte è tutt’altro che semplice, perché la via è ostruita o troppo stretta. In tal caso dobbiamo scavare con le mazzette, stando estremamente attenti a non provocare crolli e frane. È questo il rischio più grande. Basta davvero un piccolo passo falso per precipitare di colpo anche di 20 metri".
È quello che è successo a Ottavia?
"A dirci com’è andata di preciso può essere solo lei, i compagni di squadra erano più distanti quando è caduta. Penso comunque sia sprofondata per il cedimento di una roccia resa fragile per il marciume".
Esplorare grotte dunque è necessariamente pericoloso?
“Può esserlo, sì. Nella speleologia è compreso una sorta di rischio del mestiere, tanto che quando ti iscrivi al gruppo sottoscrivi un documento in cui accetti tale rischio".
Rischi che calano se si è esperti?
"Dipende, spesso esattamente come succede agli alpinisti, gli esperti sono più esposti a incidenti perché non hanno paura e diventano meno cauti”.
In rete c’è una grande polemica per i costi delle operazioni di salvataggio…
"Quante falsità. Anzitutto siamo obbligati a sottoscrivere un’assicurazione con il Cai per le uscite, dunque non costiamo un euro alla comunità. Poi quasi sempre i soccorritori sono volontari, quindi…”.
Ottavia è prudente?
"Più che prudente. Anziché fare un passo falso torna indietro. Anche a me è successo di sprofondare per la frana di un masso. Ma io sono riuscito a uscire con le mie gambe, lei no. È stata sfortunata”.