BREMBATE DI SOPRA (Bergamo) – Il 16 giugno del 2014 è un lunedì. Il tweet del ministro dell’Interno, Angelino Alfano, è delle sei e 24 del pomeriggio: "Individuato l’assassino di Yara Gambirasio". Nelle redazioni è una scarica di adrenalina. È un’ondata di commozione per tutti gli italiani che hanno seguito il dramma della tredicenne di Brembate di Sopra, sparita nel buio la sera del 26 novembre del 2010, ritrovata senza vita tre mesi dopo, il 26 febbraio, fra le sterpaglie di un campo di Chignolo d’Isola, a una decina di chilometri da casa. L’arrestato si chiama Massimo Giuseppe Bossetti, è un artigiano edile di quarantatré anni, vive con la moglie e i tre figli alla Piana di Mapello. Il suo Dna nucleare coincide con l’impronta genetica (la traccia 31 G20, nella quale è assente il Dna mitocondriale materno) che l’assassino (chiamato all’inizio “Ignoto 1“) ha lasciato su Yara.
Viene interrogato dal pm di Bergamo, Letizia Ruggeri, per la prima volta, il 19 giugno. Rispetto a questa imputazione, come si pone? "Innocente. Non so come sono venuti a me, guardi. Io mi proclamo ancora innocente. Non ho mai fatto male a nessuno. Non ho il coraggio di uccidere neanche un gatto". Bossetti continuerà a sostenere la sua innocenza nei tre gradi di giudizio da cui, ogni volta, uscirà la condanna all’ergastolo.
Così per dieci anni, incrollabile. Dieci anni dopo. Fra poco più di una settimana concluderà la sua carriera di magistrato come consigliere di Corte d’Appello a Milano. A lungo procuratore aggiunto a Bergamo, Massimo Meroni è stato in prima linea nelle indagini sull’omicidio Gambirasio. "La prova scientifica del Dna è stata assolutamente decisiva per l’arresto di Massimo Bossetti. La correttezza delle indagini, dell’operato del Ris di Parma e degli esperti è fuori discussione. Quando mi capita di sentire la parola “errore“ faccio questo ragionamento. Ammettiamo, come semplice ipotesi, che sia avvenuto un errore. Ma questo non è andato a ricadere su un aborigeno australiano, ma su un soggetto che abitava nella zona, che passava per Brembate di Sopra. Massimo Bossetti, si dice, ha sempre proclamato la sua innocenza. Ma questa non è una prova di innocenza. Direi che è normale. Se faccio riferimento alla mia lunga esperienza, posso dire che non ho trovato più del 5 per cento di colpevoli che ammettevano le loro responsabilità. La professione di innocenza non è un evento: è una regola. Dal punto di vista umano, voglio citare una cosa molto positiva che mi è rimasta: il comportamento dei genitori della povera Yara. Compostezza. Dignità. Mai una parola fuori posto. La fiducia sempre dimostrata in chi conduceva le indagini. Un atteggiamento non comune. E non era facile, per due genitori, averlo e mantenerlo".
Nel carcere di Bollate Massimo Bossetti lavora per una società che produce macchine da caffè. Da tempo partecipa ai concorsi letterari, artistici, culinari, tutti i bandi dedicati ai detenuti che vede esposti nella biblioteca del carcere. L’ultimo è stato il concorso “Cuochi dentro“, con una ricetta che ha chiamato “sgranella alle noci con mele e limone“. Con la famiglia ha vicino, come sempre, i difensori Claudio Salvagni e Paolo Camporini. "Questa – dice Salvagni – è una storia disgraziata che vede una persona chiedere prima da indagato, poi da processato e adesso da ergastolano, sempre la stessa cosa: un nuovo esame del Dna rimasto sugli indumenti della vittima. Questo esame scientifico è stato negato allora e sempre. Perché? C’è qualcosa che non deve essere oggetto di una nuova indagine? Si vogliono difendere le precedenti indagini? Il Dna è l’unica prova o presunta tale contro Massimo Bossetti. Se cadrà questa, cadrà anche tutto il resto. Solo allora si potrà parlare di revisione. Oggi mi auguro che ci sia veramente un giudice a Berlino che ammetta questo esame in modo da chiudere la vicenda, in un senso o nell’altro. Anche per la pace della povera Yara".
La difesa preannuncia nuove iniziative e muove alcuni rilievi. "A cinque anni dall’autorizzazione abbiamo potuto finalmente visionare e solo visionare i reperti. Chiederemo dove si trovano i numerosi reperti mancanti, fra l’apparecchio dentario di Yara, i guanti, il lettore mp3 con il suo filo, la sim del cellulare, le chiavi di casa. Dalle relazioni risultano due Dna, uno maschile e uno femminile rimasti sui guanti. Chiederemo di poterli analizzare accompagnando la nostra richiesta con una relazione scientifica. I 54 campioni con il Dna di “Ignoto“ sono verosimilmente andati distrutti, dopo essere passati dal frigorifero dell’ospedale San Raffaele di Milano, dove erano conservati a una temperatura di 80 sotto zero, alla temperatura ambiente dell’Ufficio corpi di reato del tribunale di Bergamo. Ma lo si potrà dire solo dopo averli analizzati".