In principio era un quartiere di cascine. Oggi di quei luoghi storici rurali, alcuni bellissimi, è rimasto solo il nome, ma di rurale non c’è quasi più nulla. Solo alcuni scorci mantengono l’antica anima, come via San Dionigi, nel breve tratto che dalla piazza Angilberto porta ai piedi del famoso "Signurùn de Milàn" o il "Cristun de Cement", l’enorme Cristo che accoglieva i visitatori dalla vicina abbazia di Chiaravalle. Ma per andare a Chiaravalle bisognava attraversare il Corvetto, che indicava la parte finale del Comune di Milano prima del confine con il Comune di Rogoredo. Non si può ricordare la storia del quartiere che è anche un po’ la sua attrattiva senza partire da via Gamboloita che un tempo prendeva il nome dall’antica cascina. Una stuttura semplice immersa in chilometri di verde. Oggi è rimasta solo l’omonima lunga via che porta ad un anonimo parcheggio che affaccia su un complesso di uffici interamente di cemento.
C’è una chicca però, la Caffetteria Santa Teresita, lì dal 1950, immutabile nell’arredo e nella qualità del caffè che si beve. È un angolo di eccellenza, un ristoro per il quartiere e per chi la conosce e la raggiunge appositamente anche da fuori zona. E un’altra chicca storica è la Cartoleria Fratelli Bonvini in via Tagliamento, una bottega nata oltre un secolo fa. Ma il simbolo del quartiere resta il "Signurun de Milan", tornato da poco agli antichi splendori.
Una decina di anni fa, infatti, l’opera era stata danneggiata durante alcuni lavori alla rete elettrica ed era sempre rimasta monca: alla statua mancava una mano. Nel 2019, però, il Municipio aveva deciso di occuparsi del monumento, scoprendo che non era censito né dal Comune né dalle Belle Arti, proprio perché sistemato su uno stabile privato, al civico 6.
Accanto al Municipio sono poi scesi in campo l’artista Antonio Mendola, che grazie ad alcune foto ha ricostruito la mano, e l’imprenditore Romano Saini, si è fatto carico del costo dei lavori. Il grande Cristo in cemento indicava ai fedeli la via del monastero di Chiaravalle.
Prima di arrivare alla grande chiesa, una sosta doverosa in via Sant’Arialdo, c’è la storica e semplice trattoria “Al Laghett”, attiva dal 1890. Il bello è pranzare circondati dal verde del Parco Agricolo Sud, in un luogo che pare sospeso nel tempo, in un quartiere-paese che ha mantenuto la sua identità e ha sempre il conforto della sua abbazia, famosa in tutta Milano e non solo. Chiaravalle, ex Comune autonomo, è passato sotto l’ala protettiva della metropoli cento anni fa: il 14 dicembre 1923 l’allora sindaco Luigi Mangiagalli comunicava che insieme ad Affori, Baggio, Crescenzago, Gorla (già unito a Precotto), Greco, Lambrate, Musocco, Niguarda, Trenno e Vigentino, quel territorio veniva "definitivamente aggregato" a Milano. Degli 11, è l’unico ad avere conservato l’aspetto e il paesaggio di un borgo rurale. Tra li mestieri di un tempo al Corvetto, quello del calzolaio. L’insegna gialla è al piano terra del palazzone Aler di via dei Panigarola 5 al Corvetto: “Beaudelaire“, si legge. È il nome del calzolaio di quartiere, Beaudelaire Nicaise N’guessan per l’esattezza, nato in Costa d’Avorio 29 anni fa, figlio d’arte perché ha imparato la tecnica dal papà e dallo zio, calzolai, raffinandola anno dopo anno. "In Italia c’è molta più attenzione ai dettagli. La scarpa deve essere bella, oltre che comoda. C’è una raffinatezza che non si trova nel resto del mondo". Nel suo atelier, oltre a riparare suole e tacchi, crea calzature da zero e ha ideato anche un suo marchio che ha una doppia anima: italiana e africana. Accanto ai macchinari Made in Italy, appese al muro ci sono due statuine del suo Paese. Per i cittadini è diventato un punto di riferimento "anche perché i calzolai a Milano sono sempre meno; pochi giovani che sognano di diventare artigiani delle calzature. Pochi sono quelli che vanno a bottega per imparare a rimettere in sesto una scarpa".