ANDREA SPINELLI
Eventi e fiere

I Duran Duran e il magico Sanremo: "Noi, da zero a eroi in 5 minuti. Dopo 40 anni ancora ci amano"

Protagonisti di un live al festival i-Days prima dell’uscita del nuovo album “Repertoire“. Roger Taylor: "I primi tempi non furono facili, poi finimmo sommersi dalla popolarità".

Protagonisti di un live al festival i-Days prima dell’uscita del nuovo album “Repertoire“. Roger Taylor: "I primi tempi non furono facili, poi finimmo sommersi dalla popolarità".

Protagonisti di un live al festival i-Days prima dell’uscita del nuovo album “Repertoire“. Roger Taylor: "I primi tempi non furono facili, poi finimmo sommersi dalla popolarità".

Milano? Città divertente. Parola di “wild boys“. Blitz televisivi a parte, quello del 20 giugno nella cornice dell’i-Days dovrebbe essere il tredicesimo concerto in città dei Duran Duran, nuovamente sulla strada con una fitta agenda di appuntamenti live. Nove anni dopo l’ultimo show, suoneranno all’Ippodromo Snai di San Siro, dove il 27 agosto è atteso pure Post Malone, uno dei due palcoscenici di questa edizione 2025 dell’Indipendent Days Festival, presente come gli scorsi anni pure all’Ippodromo Snai La Maura con Dua Lipa (supporter Alessy Rose) il 7 giugno, i Linkin’ Park (supporter Spiritbox, Jimmy Eat World e Jpegmafia) il 24 e Olivia Rodrigo (supporter Wet Leg e Girl in Red) il 15 luglio.

A parlarne è il batterista Roger Taylor, alfiere con Simon LeBon, John Taylor, Nick Rhodes ed Andy Taylor dell’epopea di “Hungry like a wolf”.

Iniziamo dall’ultimo blitz italiano dei Duran Duran, a febbraio sul palco di Sanremo.

"Ci siamo trovati benissimo. Ogni volta al Festival è così e, francamente, penso non potrebbe essere altrimenti, visto che è lo show a cui dobbiamo la nostra esplosione in Italia. Per i Duran, infatti, i primi anni ‘80 qui da voi non furono facilissimi, poi, però, arrivò Sanremo e la popolarità finì col sommergerci; inseguiti per strada coi motorini, assediati negli hotel, braccati in ogni angolo. Salire su quel palco significa ogni volta per noi tornare indietro nel tempo e sentirci addosso un po’ dell’affetto di allora".

Troppo successo?

"Non penso che in questo mestiere si possa avere troppo successo, penso, piuttosto che a volte possa arrivare troppo in fretta come capitato a noi, passati da zero ad eroi in 5 minuti. Nel 1979 faticavamo a trovare un ingaggio, un pugno di anni dopo eravamo nelle hit parade di tutto il mondo o quasi. Con le conseguenze che questo comporta. Non potevamo mettere il naso fuori dall’hotel, fare una passeggiata per strada, senza essere assaltati da torme di adolescenti urlanti. Un affetto invasivo, certo, ma in fondo quello che avevamo sempre sognato. Il giusto prezzo da pagare alla popolarità. Ecco perché, potendo tornare indietro, non cambierei niente. È una grande fortuna poter tornare dopo 40 anni in posti come l’Italia, gli Stati Uniti, il Regno Unito e trovare un pubblico che ancora ci ama. O, almeno, così lascia intendere".

A proposito, il pubblico dei Duran è lo stesso dappertutto?

"Diciamo che nel Nord Europa è abbastanza tranquillo, mentre in Paesi latini come l’Italia o l’Argentina diventa molto più partecipativo e rumoroso. Il rumore che piace a noi. Quello di fans capaci durante i concerti di cantarti tutte le canzoni dalla prima all’ultima strofa".

Al Festival (come nell’ultimo album “Danse macabre”) avete riletto “Psycho killer” dei Talking Heads con Victoria De Angelis dei Måneskin al basso.

"L’ha voluto John (Taylor, ndr) che è un grande fan di Måneskin e in particolare di Victoria. Credo abbia addirittura dichiarato da qualche parte che in questo momento la reputa la bassista più forte al mondo. Pure a Sanremo Victoria ha dato prova dell’energia che si porta dentro. A parte la rivelazione ABBA, che adoro, non sono mai stato un grande fan dell’Eurovision Song Contest. Ma quattro anni fa, con la vittoria dei Måneskin, l’Esc ha messo sotto agli occhi del mondo una realtà musicale straordinaria, capace in pochi mesi di ottenere grande credibilità ovunque".

Quest’anno cadono i 40 anni del Live Aid, come ricorda quella giornata?

"Evento incredibile, ma per i Duran Duran non fu una grande esperienza. C’eravamo resi conto, infatti, che la prima fase della nostra storia era arrivata agli sgoccioli. Cercavamo d’andare d’accordo, ma avevamo in testa progetti diversi. Da un lato c’erano i Power Station con John ed Andy e dall’altro gli Arcadia con Simon, Nick e me. Un trauma, visto che fin dall’adolescenza eravamo cresciuti tutti e cinque assieme. Penso, però, che con quelle esperienze extra band volessimo solo guardarci dentro per conoscerci meglio. Tant’è che poi io mi presi una lunga pausa dalla musica e quella al JFK Stadium di Filadelfia per il mega evento benefico organizzato da Bob Geldof rimase la nostra ultima esibizione fino alla reunion del 2003. La performance sul palco del Live Aid l’ho, però, rivalutata solo negli ultimi tempi. Riguardandola mi sono reso conto, infatti, che suonammo bene e con una certa emozione".

Qual è il primo ricordo che ha dell’Italia?

"Quello di un giornalista che durante la nostra prima esperienza romana ci portò in un ristorante vicino allo zoo e, una volta seduti a tavola, ordinò per noi cinque piatti di spaghetti intimandoci di mangiarli. Ci rifiutammo".

Come sta Andy Taylor?

"Anche se è un po’ che non lo sento, credo abbastanza bene. L’hanno sottoposto ad un trattamento innovativo e risponde bene alle cure. Prima che riprendessero gl’impegni live abbiamo lavorato con lui ad un nuovo album, intitolato ‘Repertoire’, che speriamo di pubblicare entro la fine dell’anno o all’inizio del prossimo".

Andrea Spinelli