
Francesca Fantoni fu uccisa il 25 gennaio 2020 da Andrea Pavarini
Andrea Pavarini torna a processo. Il 34enne giardiniere di Bedizzole, già condannato all’ergastolo per avere stuprato, massacrato a calci e pugni e strozzato nel parco pubblico del paese Francesca Fantoni, affetta da ritardo a mentale, il prossimo 3 maggio affronterà un nuovo dibattimento. Tentata violenza sessuale, lesioni personali e molestie sono i reati contestati, per i quali ieri il gup, Matteo grimaldi, lo ha rinviato a giudizio. I fatti risalgono al 17 e 18 gennaio 2018, prima del delitto, dunque, del 25 gennaio 2020, e vedono come parti offese due donne - entrambe chiamate a testimoniare nell’ambito del processo per l’omicidio Fantoni - nelle quali Pavarini si imbattè casualmente. L’imputato, che il gip nella sua ordinanza di carcerazione ha dipinto come caratterizzato da “vera e propria ossessione per la sfera sessuale“, tale da renderlo incapace di controllarsi, nel primo caso incontrò per strada a Bedizzole una 29enne mamma che spingeva il passeggino. Stando al pm Barbara Benzi, Pavarini si tuffò addosso alla sconosciuta, la buttò a terra e le saltò sopra cercando di spogliarla mentre si calava i pantaloni, desistendo solo per la ferma opposizione della vittima riuscita a divincolarsi, e le provocò lesioni giudicate guaribili in sette giorni. Il giorno seguente invece è accusato di avere seguito una 25enne nei bagni pubblici della stazione di Desenzano, di averla spiata mentre espletava i propri bisogni fisiologici arampicandosi sul muro e di averla approcciata all’uscita con frasi lascive. Le nuove accuse saranno discusse dalla prima sezione penale. Nel frattempo Pavarini, assistito dall’avvocato Ennio Buffoli, attende in carcere la fissazione del processo d’appello per l’omicidio di Francesca Fantoni. Per il difensore, il 34enne andava assolto sulla scorta di una presunta seminfermità mentale. Il perito Sergio Monchieri tuttavia, pur riconoscendo un deficit cognitivo, in primo grado aveva concluso per la piena capacità. "La tesi sostenuta dalla difesa non è in grado di invalidare l’ipotesi accusatoria nemmeno sotto il profilo del ragionevole dubbio - hanno scritto i giudici d’Assise - La menomazione invalidante del Pavarini non era di gravità tale da impedirgli di avere una vita sociale quasi normale. Pavarini era ben consapevole del significato del proprio gesto sia sotto il profilo della capacità di intendere che di volere.