Sondrio, posto fisso? In Valle è un miraggio

Secondo un’analisi del Centro studi della Cgil solo un contratto ogni dieci è a tempo indeterminato

Guglielmo Zamboni, segretario generale Cgil

Guglielmo Zamboni, segretario generale Cgil

 

Sondrio, 17 maggio 2022 - Aumentano i posti di lavoro in provincia di Sondrio, ma il posto fisso continua a rimanere un miraggio. Secondo un’analisi del Centro studi della Cgil solo un contratto ogni dieci è a tempo indeterminato e un rapporto di lavoro su quattro è durato meno di un mese, mentre la metà si è concluso nell’arco di novanta giorni. La maggior parte dei 34.528 contratti attivati nel corso del 2021 si può ricondurre a quindi ai lavoratori stagionali, particolarmente utilizzati nell’agricoltura e nel turismo. Nel 50,2% dei casi si è trattato di donne e il 48,8% era under 35. Per quanto riguarda le competenze, solo nel 15,7% dei casi sono elevate, nel 60,8% medie e nel 23,6% basse. Le attivazioni sono relative al settore turistico ricettivo (36,8%), a istruzione e sanità (15,3%), al commercio (9,2%), ai servizi (7,4%), all’agricoltura (7,2%), all’industria (7,1%) e alle costruzioni (5,5%).

"L’aggettivo più idoneo a descrivere il lavoro in provincia di Sondrio è precario - evidenzia il segretario generale, Guglielmo Zamboni - Provvisorio, incerto, insicuro, senza garanzie di continuità, spesso anche pagato meno del dovuto, come evidenziano alcune recenti analisi del nostro sindacato. Il 67.3% dei contratti è a tempo determinato e solo l’8,8% è a tempo indeterminato. Questi dati, inoltre, non tengono conto delle attivazioni e delle cessazioni dei somministrati e dei tirocinanti, due categorie di lavoratori particolarmente esposte alla precarietà che non sono comprese nelle tabelle oggetto della nostra analisi". Lo scorso anno le cessazioni sono state 29.247: il 24,5% è durato meno di un mese, il 22,5% da 31 a 90 giorni, il 16,6% da 91 a 180 giorni e il 17,4% tra sei mesi e un anno. Solo il 19% delle cessazioni è relativo a rapporti di lavoro con una durata superiore a un anno.

"Percentuali che riflettono sia la situazione maschile, sia quella femminile, dove il fenomeno è più accentuato - prosegue Zamboni - Evidentemente sull’occupazione femminile la precarietà incide di più e si affianca a tutti i fenomeni negativi che da tempo la nostra organizzazione denuncia. Le differenze tra i generi riguardano anche i settori. Quelli più vivaci, oltre al turistico-ricettivo, per le donne sono scuola, sanità e commercio, mentre per gli uomini sono costruzioni e industria. È bene rilevare che il divario di genere sarebbe stato ancora più ampio senza le assunzioni avvenute nella scuola, nella sanità e nella pubblica amministrazione".