Solo, in sella a una bicicletta nel bianco infinito del luogo più inaccessibile del pianeta: Omar Di Felice tenterà nuovamente di attraversare l’Antartide in completa autonomia e la sua avventura è appena iniziata. Lo specialista dell’”ultracycling” (le più lunghe e impegnative competizioni in bicicletta, come la “Trans America biker race” da 7mila chilometri, che ha vinto in giugno) si trova già in viaggio. A un anno di distanza dal primo tentativo, concluso con un ritorno prematuro a casa a causa di gravi problemi personali, l’atleta che si allena in Valtellina partirà dalla costa di Hercules Inlet in Antartide. Secondo i piani dovrà percorrere 1.500 chilometri avendo come primo obiettivo il raggiungimento del Polo Sud, da cui proseguirà lungo il Leverett Glacier, provando infine a rientrare al Polo Sud sempre in sella alla sua bicicletta. Dovrà pedalare e sopravvivere a temperature che scendono a -40°.
Nato a Roma 42 anni fa e trapiantato a Bormio, in Valtellina, dove prepara le sue avventure, è stato folgorato dalle imprese di Marco Pantani che l’hanno fatto innamorare della bicicletta e dalle spedizioni dei grandi esploratori del passato. Le sue avventure sono l’unione di queste sue due grandi passioni. L’abbiamo raggiunto al telefono mentre si prepara per l’ultima tappa prima di mettersi in sella.
Dove si trova in questo momento?
«Sono a Punta Arena, in Cile. Il 10 è previsto il volo per l’Antartide, ma queste tratte sono molto soggette al meteo e si vedrà».
Come ha scelto l’obiettivo?
«L’Antartide ha sempre stimolato la mia fantasia, anche da bambino. Da Shackleton a Messner ho sempre seguito le grandi esplorazioni e da appassionato della bicicletta, vedendo che nessuno ci è mai riuscito, il sogno è proprio quello di essere il primo ciclista ad attraversare l’Antartide. Tutti i miei sforzi negli ultimi anni sono stati dedicati alla preparazione di questa spedizione».
In questi mesi ha preparato tutto nei minimi dettagli, dall’attrezzatura ai materiali. Quali sono le incognite ora?
«Più che incognite, direi variabili. So quanto è imprevedibile e difficile la natura estrema. È sicuramente il luogo più inaccessibile e remoto del pianeta. Ho girato tutto il mondo in bicicletta, dalla Groenlandia all’Himalaya. Ma, essendoci già stato, so che non c’è nulla di paragonabile all’Antartide. Solitudine e isolamento totale saranno i principali ostacoli, ma anche le condizioni dei venti e del plateau».
Come ci si prepara a una performance come questa?
«Fisicamente bisogna essere al 100%, anzi di più. Anche un minimo problema potrebbe diventare insormontabile. Poi c’è tutta la parte mentale. Gestire una settantina di giorni con tutto quello che può succedere - la fatica, le scorte alimentari, riparare un fornello, piantare la tenda con il vento - può essere molto complicato a livello mentale. Ci sono tanti fattori che richiedono molto impegno».
Con quale e quanto materiale viaggerà?
«Trainerò una slitta che inizialmente peserà fra gli 80 e i 90 chili. Sarà trainata da una “fat bike” che a pieno carico sarà sui 25 chili».
Com’è pedalare sulla distesa ghiacciata del plateau antartico?
«Non è tutto pedalabile, dipende molto dalla formazione delle dune di neve dovuta ai venti, alla qualità della neve. E dipende anche dalla stagione precedente».
Cosa accade in caso di emergenza?
«Io sarò completamente solo. Ma partirà una chiamata in caso di emergenza a una base di soccorso. Il problema è che potrebbero volerci anche due, tre o quattro giorni prima di essere recuperato».