Sondrio – “Cinque branchi di lupo e un “branco” di umani. I lupi avranno il compito di muoversi sull’intero Arco Alpino e gli uomini di gestire questo loro ritorno naturale. Riusciranno uomini e lupi a vivere sullo stesso territorio?”. È la trama di un gioco pensato nel progetto europeo “Life WolfAlps” per educare i più piccoli alla possibile convivenza con i grandi carnivori. La conservazione dei grandi carnivori, specialmente il lupo, è in gran parte condizionata dall’accettazione umana. Ma quando ci sono di mezzo gli adulti e soprattutto un confine, le cose cambiano di parecchio. Sono 39 i lupi finora abbattuti in Svizzera durante la stagione di caccia nell’ambito della strategia federale di contenimento del predatore: 23 nei Grigioni, 10 in Vallese, 3 nel canton Vaud e altrettanti nel canton San Gallo. Una valutazione fatta da Keystone-ATS sulla base dei dati al momento disponibili presso gli uffici cantonali.
I branchi di lupi individuati sul territorio nazionale da Kora - una fondazione che si batte per l’animale - sono 35: almeno 8 possono essere eliminati durante l’attuale stagione venatoria, con il beneplacito dell’Ufficio federale dell’ambiente (UFAM) mentre una richiesta del Vallese per la soppressione completa di un altro branco è ancora in sospeso. Ulteriori 13 branchi possono essere controllati, il che significa che è stato autorizzato l’abbattimento di un certo numero di cuccioli.
Ma non è che dall’altra parte del confine, in Italia, le cose vadano molto meglio. Anche se il lupo resta sotto tutela, le proteste e le preoccupazioni di allevatori e qualche residente sono in forte aumento. Nelle Alpi, gli habitat dei grandi carnivori e il paesaggio culturale spesso collidono, il che si riflette spesso in situazioni di conflitto con i grandi carnivori, ad esempio casi di danni alla proprietà umana, incontri nelle immediate vicinanze di insediamenti umani. I conflitti di conseguenza portano spesso a disaccordi tra diversi gruppi di interesse e anche all’interno dei gruppi stessi.
“Gli abbattimenti non sono la soluzione anche perché stiamo parlando di animali tutelati da diverse normative in Italia. Gli stessi studiosi indicano che è poco utile effettuare anche la destrutturazione dei branchi con gli abbattimenti. Sono molto più efficaci invece le azioni preventive – commenta Stefano Raimondi, responsabile nazionale biodiversità di Legambiente –. L’esperienza dell’Appennino può aiutare molto chi vive nell’Arco Alpino, anche se non esistono ricette universali, va calibrato caso per caso”.
In Italia, la popolazione di lupi è stimata intorno ai 3.300 esemplari, con circa 950 lupi nelle Alpi e quasi 2.400 nel resto del Paese. Queste stime derivano da un monitoraggio condotto dall’Ispra. Nei contesti appenninici c’è maggiore tolleranza del fenomeno del ritorno dei grandi mammiferi. In molte aree il lupo e gli orsi infatti non se ne sono mai andati. “In problema si avverte soprattutto in alcuni contesti dell’Arco alpino dove le popolazioni non erano più abituate. Hanno visto il ritorno di questa specie, un ritorno che non è stato aiutato in alcun modo dalle reintroduzioni. “Nessun lupo è stato mai reintrodotto. Fino agli anni ’70 era a rischio estinzione e, non essendo cacciabile, grazie alla sua grande capacità di adattamento è riuscito a frequentare sempre più aree. Tutto ciò dovrebbe essere salutato come un bel segnale. Essendo il lupo al vertice della catena alimentare ha un ruolo ecologico molto importante. Ha un’importanza conservazionistica. Purtroppo poi ci sono invece i problemi di convivenza. Io penso che l’esperienza abruzzese ad esempio potrebbe essere d’aiuto. Lì i pastori hanno sempre tramandato la convivenza, imparando tecniche proattive di prevenzione. Tutte le pratiche pastoriali per proteggere gli animali, la costante cura dei capi che non vengono lasciati liberi e sempre riportati nei ricoveri, l’utilizzo delle recinzioni e quello dei cani da guardiania. Cose che non accadono ancora in contesti dove il lupo è stato assente a lungo”.
“La convivenza dovrebbe essere un faro e sicuramente non sono utili referendum come è accaduto in Trentino con quesiti che parlano più alla pancia che alla testa delle persone. Si creano estremismi che non servono a nessuno da una parte e dall’altra. È facile creare sensazionalismi. È utile invece l’informazione corretta. Ad esempio molti allevatori non conoscono le opportunità che ci sono con i fondi per le tecniche di prevenzione, per l’acquisto di sistemi di protezione e dei cani e anche quelli che riguardano le tutele delle aziende. Su questo la politica dovrebbe cambiare passo”.