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Tumori alla vescica: uomini e cani condividono lo stesso biomarcatore. Che ora diventa un prezioso alleato

Uno studio dell’Università degli Studi di Milano svela che l’Integrina 51 è presente nel cancro alla vescica di entrambe le specie La scoperta consentirà di rilevare la malattia nelle sue fasi iniziali e di monitorare la sua evoluzione

L'uomo e i cani sono colpiti da una forma di tumore alla vescica del tutto simile

L'uomo e i cani sono colpiti da una forma di tumore alla vescica del tutto simile

Milano, 4 settembre 2025 – Un nuovo studio scientifico ha identificato un nuovo biomarcatore molecolare che potrebbe aiutare i medici a individuare un tumore alla vescica aggressivo in fase iniziale, come il tumore alla vescica non muscolo-invasivo di alto grado (NMIBC), sia nei cani che negli esseri umani.

Questa scoperta amplia le nostre conoscenze sul comportamento del tumore alla vescica aggressivo in entrambe le specie. La scoperta getta anche le basi per metodi innovativi per rilevarlo e trattarlo in modo più precoce ed efficace, poiché la nuova proteina marcatore molecolare (chiamata integrina 51) agisce come un campanello d'allarme per i tumori aggressivi.

Il cancro alla vescica colpisce sia gli esseri umani che i cani con caratteristiche cliniche simili, tra cui mutazioni genetiche e risposte al trattamento condivise. Il carcinoma uroteliale canino (carcinoma a cellule transizionali o TCC) è il tumore più comune del tratto urinario nei cani e colpisce più frequentemente la vescica.

Questo tumore rispecchia così fedelmente la forma umana che i ricercatori lo definiscono ora un potente modello comparativo, che riflette meglio la patologia umana e che può imitare la malattia negli esseri umani in modo più accurato rispetto ai modelli di roditori comunemente utilizzati in laboratorio. I cani non solo sviluppano la malattia spontaneamente, ma condividono anche con gli esseri umani bersagli tumorali comuni e persino microbiomi intestinali e urinari simili.

Il ricercatore

Secondo Davide Danilo Zani, ricercatore veterinario dell'Università degli Studi di Milano: "I cani sviluppano il cancro in modi molto simili agli esseri umani, anche a livello molecolare. Poiché invecchiano più velocemente, possiamo osservare il decorso naturale del cancro e valutare gli effetti dei trattamenti in un lasso di tempo più breve. Questo li rende modelli eccellenti per studiare nuove terapie in casi di malattia spontanea, senza dover creare artificialmente la malattia in laboratorio.

Ambienti condivisi

“Allo stesso tempo, il loro stretto contatto con l'ambiente umano - condividendo la stessa aria, acqua ed esposizione a inquinanti - li rende potenti rilevatori, rivelando i rischi per la salute a cui potremmo andare incontro".

Il team di ricerca di PHIRE ha utilizzato una combinazione di studi microscopici dei tessuti e della loro struttura, nonché tecniche molecolari, per identificare e dimostrare che l'espressione dell'integrina 51 è fortemente correlata all'aggressività del tumore.

Integrina 51

Questo rende l'integrina 51 un indicatore affidabile dei casi di cancro ad alto rischio, più inclini a progredire o recidivare. Questa scoperta potrebbe aiutare i medici a distinguere tra pazienti che necessitano di monitoraggio e trattamento intensivi e quelli che non ne necessitano”. Ciò ridurrebbe sia l'onere per i sistemi sanitari sia l'impatto sulla qualità della vita dei pazienti.

Come spiega Massimo Alfano, coordinatore del progetto PHIRE e responsabile del gruppo di ricerca presso l'Ospedale San Raffaele di Milano: “Ora che abbiamo identificato l'integrina 51 come biomarcatore, possiamo utilizzarla come bersaglio. Possiamo sviluppare molecole specifiche che si legano a questo marcatore.

Questo può essere utilizzato per veicolare farmaci o sostanze che rendono i tumori più facilmente visibili nelle scansioni (mezzi di contrasto) direttamente alle cellule tumorali. Nel contesto di PHIRE, questa scoperta è cruciale perché possiamo utilizzarla per veicolare mezzi di contrasto per l'imaging diagnostico precoce o legare molecole terapeutiche per trattamenti mirati. Inoltre, questo approccio riduce al minimo gli effetti collaterali e consente diagnosi più accurate e terapie più efficaci".

Individuando questo biomarcatore altamente specifico e condiviso tra le specie, questa scoperta rafforza la collaborazione tra medicina umana e veterinaria nella lotta contro il cancro alla vescica. Ciò non solo promette un'innovazione più rapida per i trattamenti umani, studiando i casi che si verificano naturalmente nei cani, ma anche cure e risultati migliori per i nostri compagni a quattro zampe.