
di Maurizio Maria Fossati
Giulia oggi è una ragazza serena perché “può sorridere”. Sì, perché non è sempre stato così. Giulia, infatti, era una bambina nata con la “Sindrome di Moebius”, una malattia genetica rara e, fino a vent’anni fa, poco conosciuta in Italia. Una malattia che impone la totale inespressività del viso che appare come una “maschera di cera”. "Chi nasce affetto da sindrome di Moebius – spiega Renzo De Grandi (nella foto piccola a destra), padre di Giulia, fondatore e presidente dell’Associazione italiana Sindrome di Moebius onlus – non può né sorridere, né fare smorfie. E se piange, il volto non mostra espressioni di dolore. Il neonato, inoltre, nei primi mesi di vita ha grosse difficoltà a succhiare il latte dal seno materno poiché serra la bocca con difficoltà. L’assenza di mimica facciale dipende della mancata formazione del sesto e del settimo nervo cranico. Questo rende impossibile il movimento laterale degli occhi, la chiusura delle palpebre e il controllo dei muscoli di viso e bocca. Questi pazienti hanno spesso problemi al palato, dentali e alla lingua. Talvolta è compromesso l’udito e quasi sempre ci sono difficoltà di linguaggio. Così, le imperfezioni nel parlare, l’assenza di mimica facciale e lo strabismo possono portare erroneamente al sospetto di un ritardo mentale che invece non esiste. Il cervello di chi nasce affetto da questa malattia rara è brillante, funziona perfettamente. E quindi l’ammalato, crescendo, vive con grande angoscia il peso del suo handicap".
Oggi, grazie alla microchirurgia, mediante l’autotrapianto di un muscolo preso dalla coscia, si riesce a ottenere un buon recupero del movimento di alcuni muscoli del viso. Ma, se oggi un centinaio di pazienti Moebius italiani possono sorridere, il merito va soprattutto alla determinazione di Renzo De Grandi che, nel Duemila, spinto dalla forte motivazione della nascita di una figlia inespressiva, si fece in quattro per capire e trovare una risposta. "Avevamo capito che la bimba aveva qualcosa di strano che i medici non riuscivano a riconoscere – racconta De Grandi -. La pediatra ci aiutò a consultare diversi specialisti e, alla fine, fu una oculista a ipotizzare la giusta diagnosi: sindrome di Moebius. Fu allora che fondai un gruppo di riferimento onlus a sostegno delle famiglie con soggetti affetti dalla stessa sindrome, in quegli anni quasi sconosciuta".
Ma non è tutto. Papà De Grandi andò in America e convincere il professor Ronald Zuker, primario canadese dell’Hospital for Sick Children di Toronto e pioniere della tecnica di “chirurgia del sorriso”, a fare da caposcuola a un gruppo di chirurghi italiani per importare in Italia “quella” tecnica in grado di porre rimedio ai problemi creati dalla genetica. Nel giugno 2003, infatti, l’Associazione italiana sindrome di Moebius organizzò e coordinò la prima sessione di interventi di chirurgia del sorriso a Parma. In sala operatoria c’erano i migliori esperti di chirurgia maxillo-facciale dell’Università di Parma e alla loro guida lo stesso professor Zuker. Giulia venne operata con successo a una guancia. Quello di Giulia fu il primo intervento del genere eseguito in Europa. E i risultati furono così entusiasmanti che l’anno seguente si procedette al secondo intervento sull’altra guancia. "Dopo le prime esperienze di intervento eseguite su 3 pazienti sotto la guida del professor Zuker – racconta Bernardo Bianchi, chirurgo-maxillo facciale – abbiamo iniziato a eseguire l’operazione autonomamente. Ma non solo. La pratica con questa tecnica ci ha portato a estenderla anche ad altre problematiche facciali che utilizzano trapianti muscolari nel viso. Così Parma è diventa un vero e proprio centro di riferimento chirurgico maxillo-facciale per tutto il Paese".
"Dopo il secondo intervento, nel mese di aprile 2004 – ricorda Renzo De Grandi – nostra figlia ci regalò il suo primo sorriso completo, radioso e naturale: era il giorno di Pasqua e quel giorno segnò la nascita di una nuova vita per Giulia, ma anche per me e mia moglie. Sì, anche noi genitori quel giorno abbiamo ricominciato a sorridere".