
La ricerca è stata condotta da un team del Policlinico San Matteo di Pavia
Pavia, 1 agosto 2025 - Il Citomegalovirus (Cmv), uno dei principali responsabili di sordità congenita e ritardi dello sviluppo psicomotorio nei neonati, può colpire il feto anche quando la madre è già entrata in contatto con il virus prima della gravidanza. È quanto emerge dallo studio CHILd, uno dei più ampi condotti a livello internazionale sul tema, che ha analizzato circa 10.000 gravidanze, nell’ambito di un finanziamento della Fondazione regionale per la ricerca biomedica (FRRB). Guidata dalla fondazione Irccs Policlinico San Matteo di Pavia, in collaborazione con altri 10 ospedali della Lombardia, la ricerca ha finalmente risposto a una delle domande più dibattute in ambito medico: perché l’infezione fetale può verificarsi anche in donne apparentemente immuni? “Sapevamo che, nelle donne non immuni che sviluppano un’infezione da Cmv durante la gravidanza, il rischio di trasmissione al feto è elevato (circa 30 – 40%) - spiega Daniele Lilleri, microbiologo del policlinico San Matteo e primo autore dello studio -, mentre è molto più basso (meno del 3%) in quelle già immuni. Ma non era chiaro cosa succedesse nei rari casi in cui l’infezione colpisce comunque il feto”. Lo studio, di prossima pubblicazione sulla prestigiosa rivista scientifica Lancet Microbiology, dimostra che in alcune donne già entrate in contatto con il Cmv prima della gravidanza, la risposta immunitaria non è ancora del tutto sviluppata. “In particolare – sottolineano Fausto Baldanti, direttore SC microbiologia e virologia e Daniele Lilleri -: è presente un numero ridotto di linfociti T della memoria, fondamentali per una risposta rapida ed efficace; gli anticorpi neutralizzanti, da soli, non sono sufficienti a proteggere il feto; nei casi di infezione congenita, gli anticorpi materni mostrano una minore capacità di attivare le cellule “Natural Killer”, decisive nel contrasto al virus”. Per la prima volta, vengono identificati con precisione i difetti immunologici che permettono l’infezione del feto anche in donne apparentemente protette. Un risultato fondamentale non solo per migliorare la diagnosi e la prevenzione in gravidanza, ma anche per guidare lo sviluppo di vaccini efficaci contro il Cmv. Lo studio, infatti, identifica le caratteristiche della risposta immunitaria che un vaccino dovrebbe sviluppare per prevenire l’infezione del feto.