GIULIA BONEZZI
Salute

Aborto, sorpasso in Lombardia: per la prima volta i ginecologi obiettori sono in minoranza

Interruzione di gravidanza: svolta dopo un decennio di monitoraggio “non governativo” del Pd. “La destra ha paura della 194”. Bocci: ma restano le diseguaglianze tra province, e il 38% di chi rinuncia a una gravidanza è straniera

Associazioni favorevoli all'Ivg contro Pro vita: prosegue lo scontro a distanza

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Milano – Nel 2024, a undici anni dalla fine del quasi-ventennio formigoniano segnato dalla supremazia confessional-ciellina sui primariati, metà dei ginecologi in servizio negli ospedali pubblici lombardi esercitava l’obiezione di coscienza all’aborto, e metà no. Anzi, i 391 che contribuivano a garantire alle donne il diritto a interrompere volontariamente una gravidanza garantito dalla legge 194 erano addirittura quattro più dei 387 che esercitavano il diritto a non collaborare garantito dalla stessa legge, che proprio oggi compie 47 anni dall’entrata in vigore, il 22 maggio del 1978 (fu poi confermata dagli italiani per referendum nel 1981). Un sorpasso probabilmente inedito e certamente mai registrato nell’ultimo decennio in cui il gruppo Pd al Pirellone ha condotto un monitoraggio annuale sull’attuazione della legge in Lombardia. 

Dati pubblici sull'interruzione di gravidanza

Diventando l’unica fonte di dati pubblici, dato che nonostante le richieste annuali “non abbiamo ancora un osservatorio regionale, né ne abbiamo uno nazionale”, ricorda la consigliera regionale Paola Bocci. “Dobbiamo rifarci alla relazione del ministero della Salute coi dati del 2022, gli stessi su cui si basa la nuova mappa del portale Epicentro dell’Istituto superiore di sanità che dovrebbe aiutare le donne a trovare le strutture per accedere all’Ivg; ma tre anni fa in Lombardia erano 50, l’anno scorso 45”.

Ristrutturazioni e impatto sulla mappa delle Ivg

E anche se le cinque depennate sono dovute a ristrutturazioni (l’ospedale Sacco di Milano e quello di Rho), riorganizzazioni interne alle Asst (Cernusco e Piario) o chiusure di punti nascita (Stradella), “la mappa a chi serve?” domanda Bocci che da sette anni s’è assunta la responsabilità di questo “osservatorio non governativo”, dice il capogruppo del Pd Pierfrancesco Majorino con amarezza. “La destra lombarda continua ad aver paura della legge 194”, e “prescindono dalla pianificazione della Regione” i “passi avanti dovuti anche al ricambio generazionale” in una regione in cui, dieci anni fa, il 68,4% dei ginecologi del servizio pubblico non collaborava alle Ivg.

Disparità regionali nei servizi di Ivg

Ma anche il 50 e 50 di oggi, sottolinea Bocci, sintetizza un mosaico di diseguaglianze: solo in metà degli ospedali i ginecologi obiettori sono metà o meno e in un quarto superano ancora il 70%; in cinque (Tradate, Voghera, Chiari, Gavardo e Merate) l’80% e in altri cinque (Oglio Po, Gardone, Saronno, Iseo e Asola) il 100%, anche se alcune Asst hanno scelto di concentrare le Ivg in determinati ospedali. E chi vuole abortire in Valtellina o nella Bergamasca, dove due terzi dei ginecologi non fanno le Ivg, è come se vivesse in una regione diversa da quella della progressista Lodi in cui obietta meno del 30% e si usa la pillola Ru486 in tre aborti su quattro.

L'Ivg farmacologica in Lombardia

In Lombardia l’Ivg farmacologica l’anno scorso è arrivata al 57%, esplosa nell’hinterland di Milano (passato dal 19% degli aborti nel 2022 al 49%), raddoppiata anche a Sondrio (53%), Como (41%) e in Brianza (45%), “ma regioni anche governate dal centrodestra come Liguria, Piemonte e Calabria erano oltre il 60% già due anni prima”, sottolinea Bocci. Inoltre, sei strutture offrono solo l’aborto chirurgico: Cantù, Asola, Busto Arsizio, e poi Legnano e Magenta e Chiari che valgono, rispettivamente, per le intere Asst Ovest Milanese e Franciacorta.

Consultori e sfide nell'accesso all'Ivg

Quanto ai consultori, l’aborto (farmacologico) è possibile solo in via Pace a Milano, e in generale “la loro scarsa valorizzazione” fa sì che eroghino appena il 50% delle certificazioni per le Ivg, con un impatto sulle attese che “nel 30% dei casi superano i 15 giorni e possono fare la differenza nell’accesso alla Ru486, possibile solo fino alla nona settimana”. C’è anche una bassa partecipazione (tra il 30 e il 50%) ai colloqui post-interruzione di gravidanza per proporre l’impianto di un contraccettivo a lunga durata (la spirale), che è offerto gratis da alcune Asst e non da altre.

Diversità demografica e implicazioni per le Ivg

I consultori, aggiunge Bocci, sarebbero fondamentali per affrontare un’altra diseguaglianza emersa con violenza dal monitoraggio: degli 11.280 aborti effettuati l’anno scorso in Lombardia – in linea con gli 11.147 del 2023, considerando che il Pd stavolta è riuscito ad includere anche il dato su quelli terapeutici, 765 Itg oltre la dodicesima settimana a causa di prognosi infauste per il feto o rischi per la donna –, ben 4.309, cioè il 38,2%, li hanno avuti donne straniere, che sono appena il 17,6% della popolazione femminile tra i 15 e i 49 anni in Lombardia. “E questo ci fa pensare che siano anche molto sole – conclude Bocci –. È necessario che vengano intercettate, accompagnate e informate con progetti ad hoc su prevenzione e contraccezione”.