Roma, 20 giugno 2025 – C’è una relazione diretta e palese tra i due appuntamenti che occupano la giornata di Giorgia Meloni. Tra i fasti del summit mattutino sull’Africa a Villa Doria Pamphilj e le preoccupazioni del vertice pomeridiano sulla Libia a Palazzo Chigi. La mattinata è quasi trionfale: prima ancora di iniziare i lavori con i leader dell’Unione africana, dell’Angola, dello Zambia, della Repubblica Democratica del Congo, della Tanzania e i vertici delle istituzioni finanziarie multilaterali, Ursula von der Leyen largheggia in complimenti: “Il Piano Mattei è un esempio perfetto di come diamo forma insieme al Global Gateway, cioè il piano di investimenti misti pubblici e privati, dell’Unione europea da 300 miliardi, metà dei quali per l’Africa”. La padrona di casa è raggiante per l’internazionalizzazione del suo progetto: “Sarà una cooperazione tra pari, basata su una condivisione delle priorità”. L’obiettivo indicato dalle due presidenti, “prosperità grazie alle sue ricchezze” per Giorgia, “i talenti africani che fanno crescere il Paese” per Ursula non è un’invenzione, anche se le due glissano su aspetti rilevanti della loro strategia. Serve certamente all’Africa, serve moltissimo anche all’Europa in funzione anti-migranti ed è fondamentale per provare a contrastare, partendo in ritardo, la dilagante influenza cinese sul continente.

I lavori partoriscono risultati concreti: Italia e Ue stringono accordi da 1,2 miliardi di euro per progetti in Africa, dalle infrastrutture legate al Corridoio di Lobito (la ferrovia che attraversa l’Africa centrale per cui von der Leyen – criticando chi “taglia i finanziamenti” – ha annunciato una mobilitazione da parte di Bruxelles di un miliardo, mentre l’Italia ha stanziato 250 milioni), alle produzioni di caffè, dalle interconnessioni digitali all’hub di Roma che declinerà l’intelligenza artificiale per lo sviluppo sostenibile. E la premier non dispera di portare a segno un colpo molto più ambizioso: l’abbattimento del debito africano “caro a Papa Francesco”. Spiega: “L’obiettivo è convertire nei prossimi 10 anni l’intero ammontare per le nazioni meno sviluppate e di abbattere del 50% quello delle altre”. Un’operazione che “permetterà di convertire in progetti di sviluppo circa 235 milioni di euro di debito”. Una minima parte del debito totale che supera il trilione di dollari. Non manca tra gli esperti chi sospetta una manovra neo-coloniale, ma sul fatto che si tratti di un patto concreto e di un successo netto per la strategia impostata da Giorgia Meloni con il Piano Mattei non c’è dubbio. Soddisfazione tanto più marcata in quanto l’Italia dovrebbe essere il Paese capofila nella gestione del progetto.
Tutt’altro clima nel vertice che segue il Consiglio dei ministri, presenti i due vicepremier, i ministri Guido Crosetto e Matteo Piantedosi nonché i vertici dell’intelligence. A illustrare i termini del problema era stato prima dell’inizio Piantedosi: “C’è una lieve ripresa degli sbarchi”. In realtà sono aumentati dal giugno 2024 del 17,56% e il grosso delle nuove partenze arriva dalle coste libiche a causa “dell’aumentata conflittualità”. Di fatto il Paese è sull’orlo della guerra civile. Nessuno pensa a denunciare il memorandum con la Libia firmato nel 2017 da Paolo Gentiloni malgrado ieri in occasione della Giornata del rifugiato tutte le associazioni abbiano chiesto di non rinnovarlo. Ha riempito le carceri libiche, ha permesso di riportare su quelle coste 85mila migranti e questo per il governo conta.
Il punto è che adesso la Libia potrebbe non essere più in grado di assolvere al poco gradevole compito. La Tripolitania – concordano i presenti – è teatro di scontri tra bande ed è qui che entra in ballo il Piano Mattei. La via d’uscita passa per un intervento dei Paesi africani di partenza e di transito: devono essere loro a bloccare i migranti prima che arrivino in Libia. Il prezzo del Piano Mattei è questo. Il piatto del giorno è la Libia ma è inevitabile parlare di Iran: prima del summit, Meloni e Tajani si chiedono cosa fare se gli americani entreranno in guerra e chiederanno di avere le basi a disposizione. L’idea non sorride né all’una né all’altro, ma la risposta è comune: “Se ce le chiedono non possiamo che dire di sì”.