
La polizia in via Zuretti 2/A per il sopralluogo nello studio del critico fotografico Maurizio Rebuzzini (nel riquadro)
Milano, 20 settembre 2025 – Il sopralluogo è andato avanti fino a notte. Ieri lo studio su due piani di Maurizio Rebuzzini è stato passato al setaccio dagli specialisti della Scientifica, a caccia di indizi che possano aiutare i colleghi della Squadra mobile e il pm Maria Cristina Ria (presente all’ispezione) a risolvere il giallo di via Zuretti 2/A.
Lì nel primo pomeriggio si sono presentati gli agenti della Questura per scandagliare l’immenso ufficio che custodiva l’invidiabile collezione di macchine fotografiche del settantaquattrenne morto mercoledì sera e migliaia di volumi impilati in scaffali che arrivano fino al soffitto. Stando a quanto risulta, gli investigatori hanno effettuato anche il test del luminol, il composto chimico abitualmente utilizzato per esaltare macchie di sangue lavate o cancellate: il sospetto dei poliziotti della Omicidi, guidati dal dirigente Alfonso Iadevaia e dal funzionario Francesco Giustolisi, è che qualcuno abbia cercato di ripulire la scena, provando a eliminare tracce di quello che sembra avere tutte le caratteristiche di un delitto.
La certezza dovrebbe arrivare dall’esito dell’autopsia, in programma la settimana prossima, ma il referto medico consegnato all’autorità giudiziaria non pare lasciare troppi dubbi: le escoriazioni “multiple” e soprattutto la “lesione circonferenziale del collo” hanno fatto ipotizzare sin dall’inizio un decesso per strangolamento. Non è escluso che ieri la polizia abbia cercato nel laboratorio pure un possibile oggetto usato per soffocare Rebuzzini, ammesso che l’eventuale killer non se lo sia portato via con sé.
Il primo a soccorrere l’uomo è stato uno dei due figli, il quarantaquattrenne Filippo, che ha riferito agli inquirenti di essersi allarmato perché il padre non rispondeva al telefono e di averlo raggiunto nel cortile interno del palazzo a due passi dalla stazione Centrale. Lì avrebbe trovato il genitore steso sul ballatoio, già in arresto cardiaco: “Ho provato a rianimarlo con l’aiuto di un vicino”, ha messo a verbale. Alle 18.42 la chiamata al 112 (“Venite, mio padre si è sentito male”), ma i soccorsi si sono purtroppo rivelati inutili: Rebuzzini è stato dichiarato morto alle 19.45. In ospedale, i medici si sono accorti dei segni sul collo e hanno subito allertato il posto di polizia del Fatebenefratelli.
Da quel momento, il caso è passato agli agenti della Mobile, che hanno sentito a lungo il figlio del critico e ne hanno preso in consegna il cellulare per ricostruire gli ultimi contatti con il genitore e trovare riscontri alle sue parole: in particolare, l’analisi dello smartphone e i tabulati telefonici serviranno a cercare conferme alla prima ricostruzione. Pure le immagini delle telecamere verranno esaminate con estrema attenzione per intercettare l’arrivo o la fuga dell’eventuale killer. Dal canto suo, Filippo ha affermato a più riprese di non credere che qualcuno abbia assassinato il padre: “Era una persona buona, gli volevano tutti bene, non era uno che litigava. Conoscendolo, è remotissima la possibilità che qualcuno possa avergli fatto del male”.
Eppure la pista dell’omicidio è quella più battuta, anche se quella del gesto volontario è stata comunque presa in considerazione per non tralasciare nulla. Per quanto riguarda il figlio di Rebuzzini, va registrato – con la premessa che non c’è alcun legame tra le due vicende – che, nelle ore immediatamente precedenti al ritrovamento del critico, un trentacinquenne ha querelato Filippo con le accuse di atti persecutori e lesioni. L’uomo ha riferito che l’8 settembre il trentaquattrenne l’avrebbe aggredito per una presunta donna contesa, per poi scrivergli via chat “Forse non hai capito che la lama te la metto in gola”.
Altri due raid, sempre a detta di chi ha denunciato, sarebbero andati in scena nei giorni successivi in viale Lunigiana e in via Sammartini: nel primo caso, il trentacinquenne ha riportato contusioni guaribili in cinque giorni. Martedì l’uomo ha ricevuto altri messaggi su Whatsapp. Il giorno dopo, attorno alle 14, ha deciso di rivolgersi alle forze dell’ordine.