GABRIELE MORONI
Cronaca

La morte di Fabio Rapalli, 30 anni di misteri. Nel nuovo dossier l’ombra della Setta delle Bestie

Le ricerche di un ex carabiniere, le stranezze sulla scena del crimine e il sospetto. La famiglia chiede di riaprire le indagini, ma per la Procura il caso è chiuso

La moto di Fabio Rapalli (nel riquadro)

La moto di Fabio Rapalli (nel riquadro)

Montù Beccaria (Pavia), 9 settembre 2025 - Dopo quasi trent’anni non si scioglie il mistero della fine di Fabio Rapalli, il giovane di Montù Beccaria sparito nel maggio del 1996 e ritrovato quattro mesi dopo, sulla Cisa, in uno scenario da rito satanico.

Il pubblico ministero della Procura di Massa Carrara, Giulia Giancola, ha negato la riapertura delle indagini chiesta da Claudio Ghini, ex maresciallo dei carabinieri, oggi titolare di un’agenzia di investigazioni a Stradella. Nell’aprile del 2023 Ghini aveva depositato nella Procura toscana, competente per territorio, una relazione di una trentina di pagine con la sintesi di quindici anni di ricerche svolte per conto della famiglia Rapalli e con una indicazione: guardare, fare attenzione al processo alla cosiddetta Setta delle Bestie, in corso davanti alla Corte d’assise di Novara. Nessuna accusa, ma solo la proposta di una ipotesi investigativa legata a due circostanze.

Il gruppo risultava attivo fra il 1990 e il 2020 (un arco di tempo che, in teoria, avrebbe potuto comprendere anche il dramma di Fabio) e aveva in uso, fra gli altri, un immobile a Costa Montefedele, dove Fabio viveva con la famiglia e dove è sepolto. Il pm Giancola ha ritenuto che non ci fossero da autorizzare nuove indagini, che avrebbero avuto, comunque, solo un carattere esplorativo. Nel 1996 Fabio Rapalli ha 31 anni. È schivo, solitario. Abita con il padre Carlo, impresario edile, il fratello gemello Stefano, la sorella, il cognato, il nipote di 11 anni. Un mese prima di smaterializzarsi, pone una domanda a bruciapelo a don Luciano Chiesa, parroco di Costa Montefedele: “Il Diavolo esiste?”.

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Carlo Rapalli, padre di Fabio

Il 16 maggio, contrariamente all’abitudine di non allontanarsi, parte alla guida della sua motocicletta Aprilia Pegaso. Ricompare in serata. Appare stravolto. Alle domande preoccupate dei familiari, risponde di essere stato a Genova. Al ritorno, curiosamente, è passato per la Cisa. Il 19 maggio è una domenica. Fabio, cosa inusuale, si alza presto. Alle 8.20 è già al mercato di Castel San Giovanni, in provincia di Piacenza, a soli otto chilometri da Montù. Incontra un conoscente, acquista un paio di guanti da lavoro. Rincasa alle 10.30. Lo testimonia un vicino di casa, lo stesso che pochi minuti dopo lo vede allontanarsi alla guida della moto.

Il 7 settembre due cacciatori scoprono un cadavere mummificato lungo il passo della Cisa, nella località Montelungo, comune di Pontremoli. La testa staccata dal corpo. Da un ramo penzola una corda con un nodo scorsoio. Ai piedi dell’albero una candela e un coltello da cucina conficcati nel terreno, due accendini, il portapatente vuoto con l’intestazione di un’autoscuola di Stradella. Fabio Rapalli viene identificato grazie a un calco dentario e al Dna.

Stranezze, enigmi. Un nodo scorsoio quando Fabio non sa neppure allacciarsi le scarpe. La candela è perfettamente bianca, come se fosse stata collocata da poco. Le parti metalliche degli accendini non sono intaccate dalla ruggine, che ha risparmiato anche la moto e il casco, fatti ritrovare il 2 novembre da una telefonata anonima ai carabinieri. La chiamata è un chiaro tentativo di riportare le indagini all’ipotesi iniziale del sequestro, anziché a quella dell’omicidio, per la quale procedono gli inquirenti.

Il 7 giugno 1997, nel piccolo cimitero di Costa Montefedele, sulla lapide della tomba provvisoria di Rapalli, qualcuno traccia con una sostanza traslucida una forca a tre punte e la scritta “Siamo noi“. La mattina del 25 novembre 1998, nella stessa località Montelungo di Pontremoli, viene rinvenuto il corpo di Roberto Bossi, autotrasportatore di Castel San Giovanni. Ha 31 anni come Rapalli. È nella Volvo del padre, morto dopo avere ingerito soda caustica.