STEFANIA TOTARO
Cronaca

'Gomorrakech', la giustizia chiude la saga nella ex Snia

Condanne fino a nove anni per i componenti delle tre bande di spacciatori magrebini che si contendevano il “fortino“ della droga nell'area industriale in rovina

Anche guardie armate a controllare l'immensa area dismessa

Varedo (Monza Brianza), 3 luglio 2020 -  Pene fino a 9 ann i di carcere per la “Gomorrakech“ alla ex Snia di Varedo. Le ha inflitte ieri la gup del Tribunale di Monza Cristina Di Censo ai 13 fermati nel giugno dell’anno scorso, tutti uomini marocchini e tunisini e una 39enne italiana senza fissa dimora, facenti capo a tre diversi gruppi di spacciatori di coca, eroina e hascisc, che si contendevano il mercato della droga nella ex fabbrica abbandonata e che non disdegnavano di ricorrere alle rapine a mano armata e agli agguati a colpi di pistola e fucile per “risolvere“ i conflitti tra di loro.

Le accuse sono a vario titolo detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, tentato omicidio, rapina, detenzione e porto abusivi di armi da fuoco. La pm Sara Mantovani, forte di numerosi video raccolti dai carabinieri, che da tempo stavano monitorando e riprendendo la guerra per lo spaccio di droga in corso, aveva chiesto il giudizio immediato per gli imputati, di cui 11 hanno chiesto il processo con il rito abbreviato e 2 il patteggiamento.

Secondo l’accusa, sull’area ex Snia (descritta dagli inquirenti come "un’autentica fortezza strutturata militarmente" in una zona "in stato di completo abbandono dagli anni ‘90 e sviluppata su una superficie di circa 500.000 metri quadrati, su cui insistono strutture i di sconfinata estensione, pericolanti, suddivise in più piani ma tra di loro comunicanti con ponti sopraelevati e cunicoli sotterranei") agivano tre bande di trafficanti, capeggiate da Abdelgani Mansouri detto “lo zio“ (a cui è andata la condanna più alta a 9 anni), Zakaria Rafi e Mohamed Fellak. Quando la prima gang aveva iniziato a entrare in contrasto con le altre due, allora avevano cominciato a sparare. Il 5 aprile 2019 venne colpito da una rosa di pallini al collo e al corpo Youssef Aniba, uomo di Rafi. Le risposte non si erano fatte aspettare. Prima un’aggressione a un tunisino, Mohamed Abbassi detto “Saddam“, che spacciava per conto di una delle bande in lotta, poi l’agguato a Mansouri del 23 maggio 2019, e, a poche ore di distanza, la risposta di quest’ultimo, nascosto fra i cespugli con la pistola in mano, e i guanti neri per non lasciare impronte sull’arma. Solo l’intervento dei carabinieri aveva messo fine allo stillicidio di agguati reciproci nell’area per "la conquista e il predominio di una sorta di bazar della droga", un business che ha provocato "una violentissima contesa tra gruppi criminali, decisi ad imporre la propria egemonia all’interno dell’area stessa, utilizzando armi da fuoco e palesando intenti omicidi nei confronti di sodali del gruppo contrapposto". Secondo le indagini, infatti, i tre gruppi inizialmente "condividevano a turni giornalieri la medesima piazza di spaccio"fino ai primi dissidi che si sono trasformati in un "vero e proprio scontro armato".