STEFANIA TOTARO
Cronaca

Varedo, guerra fra bande alla Snia: chieste pene fino a 12 anni

Per contendersi quella che era diventata un’autentica fortezza dello spaccio erano ricorse a rapine a mano armata, colpi di pistola e fucilate

Una delle immagini registrate dai carabinieri nell'ex fabbrica

Varedo (Monza Brianza), 11 gennaio 2020 - Pene fino a 12 anni di carcere per la “Gomorrakech” all’ex Snia di Varedo. Le ha chieste ieri la pm della Procura di Monza Sara Mantovani all’udienza davanti alla giudice del Tribunale di Monza per i 13 fermati lo scorso giugno, tutti uomini marocchini e tunisini e una 39enne italiana senza fissa dimora, facenti capo a tre diversi gruppi di spacciatori di cocaina, eroina e hascisc che si contendevano il mercato della droga nella ex fabbrica abbandonata e che non disdegnavano di ricorrere alle rapine a mano armata e agli agguati a colpi di pistola e fucile per risolvere i conflitti tra loro. Le accuse sono a vario titolo detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, tentato omicidio, rapina, detenzione e porto abusivi di armi da fuoco.

La Procura, forte di numerosi video dei carabinieri, che da tempo stavano riprendendo la guerra per lo spaccio in corso, ha chiesto il giudizio immediato per gli imputati. Ma 11 di loro hanno chiesto il processo col rito abbreviato e 2 il patteggiamento. Si torna in aula per le arringhe dei difensori l’11 febbraio. Secondo l’accusa, sull’area della ex Snia (per gli inquirenti "un’autentica fortezza strutturata militarmente" in una zona "in stato di completo abbandono e sviluppata su una superficie di circa 500.000 metri quadrati, su cui insistono strutture edili di sconfinata estensione, pericolanti, suddivise in più piani ma tra di loro comunicanti con ponti sopraelevati e cunicoli sotterranei") agivano tre bande di trafficanti, capeggiate da Zakaria Rafi, Mohamed Fellak e Abdelgani Mansouri detto “lo zio” (per cui è stata chiesta la pena di 12 anni).

Quando la gang del primo entra in contrasto con le altre due, si comincia a sparare. Il 5 aprile viene colpito da una rosa di pallini al collo e al corpo Youssef Aniba, uomo di Rafi. Le risposte non si fanno aspettare. Prima un’aggressione a un tunisino, Mohamed Abbassi detto “Saddam”, che spacciava per conto di una delle bande, poi l’agguato a Mansouri del 23 maggio, e, a poche ore di distanza, la risposta di quest’ultimo, nascosto fra i cespugli con la pistola in mano, e i guanti neri per non lasciare impronte. Soltanto l’intervento dei carabinieri probabilmente ha messo fine a uno stillicidio di agguati reciproci nell’area per "la conquista e il predominio di una sorta di bazar della droga", un business che ha provocato "una violentissima contesa tra gruppi criminali, decisi ad imporre la propria egemonia all’interno dell’area stessa". Secondo le indagini, i tre gruppi inizialmente "condividevano a turni giornalieri la medesima piazza di spaccio" fino ai primi dissidi.