Si è presentato il fabbro col flessibile, mandato lì dal Comune, proprietario dell’impianto. Una scena da casa occupata, da inquilino moroso che non se ne vuole andare, e invece il lucchetto da rompere era quello dello stadio Rigamonti di Brescia.
Una scena surreale, trasformata in una sorta di teatrino della liberazione con cronisti e fotografi a documentarla. L’ultimo sgarbo di Massimo Cellino, il presidente che ha portato di fatto alla scomparsa del Brescia Calcio, 114 anni di storia, e che si è pure rifiutato di consegnare le chiavi dell’impianto di cui aveva la concessione, ovviamente revocata in seguito alla bufera sportivo-giudiziara che ha travolto il club. Come i bambini si portano via il pallone quando perdono, lui si è tenuto direttamente lo stadio.
L’ultima umiliazione per la città che, tuttavia, ha voluto trasformare un momento non certo edificante in una piccola festa, con tanto di applausi all’apertura del cancello. L’ultimo sgarbo di un presidente mai veramente amato, ma anche la rottura – simbolica e materiale - dell’ultimo legame tra Cellino e il Brescia Calcio. Saltato il catenaccio, archiviato il passato. Viva il fabbro.