Star deve reintegrare operaio

Licenziamento per avere abbassato la mascherina impugnato dalla Cgil: "Non c’è giusta causa"

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di Barbara Calderola

Il giudice reintegra l’operaio licenziato dalla Star per aver abbassato la mascherina in reparto: "Non c’è giusta causa". Una vittoria per il lavoratore che dopo la pesantissima sanzione aveva deciso di impugnare il provvedimento. Per Ignazio Ficara, 50 anni, è la fine di un incubo cominciato lo scorso maggio, adesso può tornare in produzione. Il sindacato, coi propri legali, si era messo subito di traverso: "Giustizia è fatta - dice la segretaria Federica Cattaneo -. Mi auguro che l’azienda rifletta dopo questa pronuncia". Anche alla luce del fatto che "il recente accordo sul ricambio generazionale dimostra che con un altro metodo, cioè confrontandosi, si possono raggiungere risultati condivisi.

Oggi chiudiamo una brutta pagina, il lavoratore rientra in fabbrica, guardiamo avanti ma sempre pronti a reagire a difesa dei diritti violati". Un risultato ancora più importante quello uscito dal tribunale di Monza "alla luce del progressivo svuotamento dell’articolo 18 di questi anni", sottolinea Cattaneo. Era stata lei a protestare contro "le azioni mirate" del colosso del ’doppio brodo’ prima davanti alla sede in via Matteotti, un anno fa, e poi, a inizio giugno sotto al Municipio dopo che la direzione aveva "buttato fuori non uno, ma due operai". Ficara infatti era stato il secondo caso, il primo con modalità e ragioni del tutto simili risaliva all’inverno 2021. Tutte e due le volte i colleghi degli estromessi avevano incrociato le braccia contro "i licenziamenti sospetti, la mascherina abbassata era una scusa per allontanare dipendenti scomodi". Il passaggio alle carte bollate era stato obbligato.

Gli alimentaristi della Cgil avevano incassato l’appoggio delle istituzioni, al loro fianco la primavera scorsa erano scesi in piazza il sindaco Simone Sironi e due parlamentari, il senatore dem Roberto Rampi e il deputato leghista Massimiliano Capitanio, pronti a solidarizzare con gli operai "sotto scacco". Dietro alla doppia vertenza per la sigla ci sarebbe "il clima in reparto e ritmi di lavoro insostenibili con gli uomini che rincorrono le macchine e chi dice che le cose non vanno, finisce alla porta". Ma il tribunale "ha rimesso le cose in ordine". Il primo cittadino aveva invitato le parti alla mediazione, nonostante le frizioni e l’intesa sul turn-over successiva alle manifestazioni e alle udienze in aula sembra andare in quella direzione. Adesso, gli spagnoli di Gallina Blanca, che controllano lo storico marchio, devono digerire la sentenza.