
Claudio Cereda con il libro dedicato al '68
Monza, 6 giugno 2018 - È cresciuto a Villasanta (classe 1946), ha sempre insegnato fisica negli istituti superiori e nei licei di Monza e Brianza. E, 50 anni fa, è stato uno dei personaggi di punta della rivoluzione del ’68. Claudio Cereda ha scritto uno dei capitoli di “Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria?” (a cura di Giovanni Cominelli, edizioni Guerini e asssociati), libro che mette uno a fianco all’altro personaggi noti e meno noti della società civile uscita da quegli anni, da Nando Dalla Chiesa e Renato Mannheimer a Sergio Cofferati.
Cosa fu il ’68? "Fu un anno in in cui la stragrande maggioranza degli studenti universitari prese la parola e decise di contare".
Fu vera gloria? "Sì nel ’68 e nel ’69 fu vera gloria poi intervenne troppo pesantemente la “politica rivoluzionaria” e il movimento divenne un’altra cosa. Ma nel frattempo si innescarono cambiamenti nel costume, nelle leggi, nelle istituzioni e quelli sono rimasti".
Lo spieghi alle nuove generazioni. "La scuola era un canale a senso unico, la società era fortemente autoritaria e discriminatoria, lo studente doveva credere e obbedire. Ad un certo punto il tappo è saltato".
Scrive “quello che volevamo non si è realizzato, per fortuna”. "Avremmo voluto ribaltare il mondo ma non saremmo mai stati in grado di farlo. Nella scuola e nelle istituzioni abbiamo cambiato molte cose in senso democratico. A un certo punto ci siamo innamorati del comunismo credendoci come a una grande utopia e proprio nell’estate del ’68 i carri sovietici entravano a Praga e la situazione non fu migliore per la Rivoluzione Culturale in Cina".
Dice che scardinaste “un vecchio mondo fatto di regole assurde”. "Esemplifico. Esame di Analisi 1 a luglio del ’66: uno scritto di 6-8 ore con tasso di selezione intorno all’80%, un preorale con tanti quesiti applicativi di analisi di un’altra ora, un orale sul primo volume del testo con gli assistenti e alla fine l’orale con il professore sul secondo volume per un’altra ora".
Oggi però si è smarrito il rispetto per le autorità, non fu anche colpa del '68? "Eravamo contro l’autoritarismo, non contro l’autorità che per me è sinonimo di autorevolezza. L’eliminazione della differenza (di età, di competenza, di esperienza) è una delle più grosse stupidaggini che si possano fare. Io sono il professore tu sei lo studente; sappi che potrai sempre far conto su di me; ti chiedo molto ma, come vedi e senti io cerco di darti moltissimo, in primo luogo ti spiego cosa sono qui a fare".
Per alcuni far parte del ’68 servì a fare carriera?... "Questo, per quanto ci riguarda è una vera stupidaggine. Quando sono tornato da militare a dicembre 71 avevo la carriera universitaria aperta e spianata. Ci ho rinunciato per andare a insegnare fisica in un ITIS perché la fisica mi piaceva ma mettevo la politica al primo posto. La fisica mi piace ancora e quello di non essere rimasto in università è l’unico rimpianto professionale che ho. Ma alla scuola superiore ho dato molto e ricevuto molto dai miei studenti. Basta andare sul mio sito e ci sono migliaia di pagine di didattica della fisica e della matematica. Cose di livello e che documentano una idea del lavoro in cui la ricerca didattica e la documentazione del lavoro sono importanti. E sono gratis. Anche questo è ’68".
All’epoca che ruolo ebbe? "Sono stato uno dei dirigenti del movimento di Scienze e a, partire dal 1969, è iniziata la militanza in uno dei gruppi della sinistra rivoluzionaria: Avanguardia Operaia".
Lei proveniva dalla benpensante e cattolica Brianza... "Se sei brianzolo hai un imprinting: la serietà, l’etica del lavoro, un certo moderatismo associato alla concretezza. Dal cattolicesimo mi portavo dietro la solidarietà, l’universalismo. Queste cose ti restano dentro. Ma ricordiamo anche che quella società era moralista, bigotta, sessuofobica, piena di regole di comportamento repressive e assurde a partire dai precetti religiosi".
Che ci fa in questo libro a fianco di personaggi noti come Cofferati o Mannheimer? "Per un anno e mezzo ho diretto uno dei tre Quotidiani della Sinistra Rivoluzionaria. Poi ho fatto una scelta di vita: meglio parlare a poche persone per volta e approfondire. Meglio il rapporto educativo rispetto a slogan e invettive".
Si “limitò” a insegnare? "Ho rinunciato, dopo l’esperienza del Quotidiano dei Lavoratori, a proseguire l’attività giornalistica pur avendo fatto tutti gli esami. Quel lavoro mi aveva logorato e tornai a scuola pensando a una pausa di un anno. Invece mi sono messo a studiare a fondo la scienza dura e la filosofia della scienza, come ben sanno i miei studenti. Così dopo un anno di Frisi ho deciso di rimanere e cambiare mestiere. Era il 1977".
Pentimenti? "Nessuno. Ho fatto tante cose e non le ho mai nascoste. Penso bene anche di Gioventù Studentesca che ho abbandonato nel 1964 sulla questione dell’integralismo. Mi guardo indietro e vedo un fluire: si chiama vita. Motivi di orgoglio? Aver cercato per tanti anni di trasmettere passione lasciando contemporaneamente una testimonianza scritta".