
Rocco Langone, la moglie Maria Donata Caivano e il figlio Giovanni Langone all'aeroporto di Ciampino
«Ci tenevano incatenati e bendati, e ci avranno spostato una ventina di volte in giro per il deserto, ma essere rimasti sempre uniti, non averci mai costretti a dividerci, è stata la nostra salvezza". Fisica e mentale. Lo ha raccontato l’altra sera la famiglia Langone (Rocco Langone, 66 anni, la moglie Maria Donata Caivano, 64, il figlio Giovanni “Gianni”, 45) appena tornata nella loro Triuggio dopo 21 mesi di prigionia in Mali, in mano a una fazione jihadista allineata con al-Qaida. Il sindaco Pietro Ciccardi lo aveva promesso. Per il loro ritorno a casa avrebbe organizzato qualcosa, una festa di bentornato. E così per l’altra sera, a poco più di 48 ore dalla loro liberazione e a 24 dal loro ritorno a casa, la famiglia Langone è stata ospite speciale in Consiglio comunale. Con grande discrezione, pochi cittadini presenti fra il pubblico, un mazzo di fiori e tanto calore umano. Davanti ai loro concittadini, prima ancora che ai rappresentanti politici locali, hanno raccontato e risposto alle domande (solo alcune, molti particolari della prigionia non possono essere divulgati con un’inchiesta in corso). A turno, ciascun membro della famiglia ha raccontato qualcosa, un aneddoto, un particolare.
"I primi tre mesi sono stati i più duri, i più faticosi. Per mangiare ci davano un pentolone d‘acqua in cui facevano cuocere pasta e carne di agnello. Lasciavano cuocere per ore fino a far strabollire tutto". Senza condimento. Alla fine ne usciva un pastone quasi immangiabile, "spesso con la carne ancora cruda". E questo era tutto. Razioni scarse, e mal cucinate, nessuna stoviglia, anzi un solo cucchiaio da dividersi fra tutti. Non a caso tutti e tre hanno perso diversi chili. Le cose sono parzialmente migliorate soltanto dopo tre mesi quando, forse conquistata almeno in parte la fiducia dei loro carcerieri, hanno avuto la possibilità quantomeno di cucinarsi da soli le pietanze (sempre quelle) a disposizione. La famiglia Langone – si diceva – è stata spostata più volte, in un clima di incertezza totale e paura. Trattati come infedeli, e quindi alla stregua di animali. Obbligati per motivi religiosi-culturali ad attenersi a regole rigidissime su tutto. Vietato ad esempio tagliare i capelli. E, per gli uomini, anche la barba.
Gianni, tenuto conto del fatto che viveva in Mali già da qualche anno, era l’unico a riuscire a cavarsela con la lingua araba, perfino con il dialetto del Mali, e quindi a comprendere gli ordini impartiti dai carcerieri. "Ma la prima cosa che ho fatto appena liberato e sono arrivato in aeroporto in Italia è stata quella di chiedere un rasoio, con cui mi sono tagliato la barba ormai lunghissima e mi sono rasato a zero i capelli… in questi mesi erano diventati insopportabili". Con il caldo era fastidioso (e poco igienico) non poterli nemmeno spuntare. "La mia preoccupazione maggiore – ha raccontato la mamma – è stata per Daniele (il figlio rimasto in Italia, ndr ), ero in ansia per lui, mi chiedevo quanto soffrisse a saperci prigionieri...". "Ci siamo fatti coraggio a vicenda", hanno concluso insieme.
«Sono apparsi finalmente sollevati e sereni, dopo il disorientamento iniziale – racconta l’avvocato Antonio Vidali –. Finalmente l’altra sera sono riusciti a cenare per la prima volta insieme in maniera normale da quando sono stati liberati". Con loro in Consiglio comunale, ovviamente, c’era anche Daniele, che in questi mesi è stato in costante contatto con l’Unità di Crisi alla Farnesina e l’ha voluta ringraziare. La famiglia ha comunque ribadito di non essere mai stata maltrattata fisicamente, anche se sempre con la minaccia delle catene e della frusta nelle mani dei carcerieri. "La famiglia Langone è stata purtroppo oggetto di un evento molto tragico – ha sottolineato in aula il sindaco, dando il bentornato a nome di tutta la comunità triuggese –. Hanno passato un periodo durissimo, 21 mesi di prigionia nel deserto, in mezzo al nulla, ma hanno avuto una grandissima forza, con il coraggio di resistere a questa vicenda drammatica. Ora sono tornati di nuovo a Triuggio e siamo tutti contenti di questo".
«Sono sempre stati molto riservarti – ha commentato ieri – ma hanno accolto con gratitudine l’invito in Consiglio comunale. Sono finalmente sereni, anche se ci vorrà un po’ di tempo per tornare alla normalità... a cominciare dal clima: dopo 21 mesi in un ambiente caldo e secco, sono tornati in un Paese dove il clima è freddo e umido".