
Il lupo feroce visto da un bambino (Martino Galvani)
Monza, 5 febbraio 2017 - "Mentre la Bestia feroce facea strage di Fanciulli, e atterriva gli uomini, io, che saper potea quanto alla pubblica autorità venia riferito, m’occupava di mano in mano a scrivere questo Giornale, coll’intenzione di pubblicarlo tosto che la Bestia fosse presa». Comincia così, con un’avvertenza al Lettore, un libretto straordinario scoperto relativamente poco tempo fa e ripubblicato (nel 2015) dalla piccola casa editrice indipendente milanese “Il Muro di Tessa”, encomiabile per il suo lavoro filologico dedicato a far riemergere dalle nebbie della storia testi spesso dimenticati. “Giornale circostanziato di quanto ha fatto la Bestia Feroce nell’Alto Milanese dai primi di Luglio dell’anno 1792 sino al giorno 18 Settembre” è il titolo completo dell’opera, una sorta di diario di quei fatti che sconvolsero anche l’Alta Brianza a quell’epoca, quando si vissero momenti di autentica psicosi.
A scriverlo, come lui stesso spiega nell’introduzione, pur non dichiarando il suo nome, un oscuro ma meticoloso (e con un certo gusto della narrazione) funzionario comunale. Tutto comincia, in quella spaventosa estate di 225 anni fa, a Cusago. In quello che all’epoca è ancora soltanto un villaggio “la prima vittima umana”, dice il nostro narratore, si chiama Giuseppe Antonio Gaudenzio.In questa zona a sei miglia da Milano, in un bosco situato fra il Naviglio e la strada che conduce a Novara, il 4 luglio 1792 il povero Giuseppe Antonio Gaudenzio, un fanciullo, porta al pascolo come d’abitudine la vacca. Il bimbo non farà più ritorno. Qualche giorno dopo di lui si troveranno però un “giupponcino” e i calzoncini. Zuppi di sangue. E poi il cappellino. E alla fine alcuni resti di un bambino divorato. Si accusano i lupi, anche se in molti si stupiscono considerando che in quella zona non avevano mai osato assalire gli uomini.
E si comincia così a chiamare questo animale col più generico e misterioso appellativo di “Bestia feroce”. 8 luglio: ci spostiamo a 8 miglia da Milano, a Limbiate. Un villaggio ubicato vicino al fiume Seveso e a una pianura chiamata all’epoca “Grovana”. Qui, su un pendio coperto soprattutto da boscaglia, c’è il pascolo comunale. E qui si registra il primo, tragico avvistamento della Bestia. Da queste parti i ragazzi son soliti portare al pascolo vacche e altri animali per conto delle proprie famiglie. E qui quella sera si presenta anche “una brutta bestia, simile a grosso cane, ma d’orribil ceffo, e di strana forma”. I ragazzini fuggono, e si arrampicano sugli alberi per mettersi al riparo, ma quando decidono di scendere la Bestia è in agguato e riesce a catturare e divorare uno dei giovinetti: si tratta del povero Carlo Oca, 8 anni.
E la descrizione che sarà fornita dai ragazzi sembra tutt’altra cosa rispetto a quella di un lupo: “testa molto larga, viso acuto, grandi denti esterni, pelo cupo e macchiato... coda folta e riccia”. Si diffonde allora una voce: la Bestia sarebbe in realtà un jena. Anche perché alcune jene erano state portate mesi prima da queste parti da una sorta di zoo itinerante e c’era il sospetto che una di queste belve fosse sfuggita ai padroni. Intanto non troppo lontano, a Corbetta, anche una bimba di 6 anni viene trovata sbranata. La psicosi è ormai dilagante. Avvistamenti e battute di caccia improvvisate vengono effettuati anche a Cesano Maderno, con le armi fornite dalla Casa Borromea, ma la Bestia riesce ogni volta a fuggire e nei racconti diventano quasi leggendarie la sua sveltezza e malizia. Un certo signor Rosana di Desio riesce anche a tirare un colpo di schioppo all’animale - o almeno così racconta -, ma questi sfugge per l’ennesima volta alla cattura.
Viene promulgato allora un Editto, che allestisce una caccia generale cui devono partecipare tutti gli uomini in arme della zona. Sulla Bestia viene messa una taglia: 50 zecchini. Risultati? Nessuno, tranne i danni provocati alle coltivazioni dalle schiere di cacciatori più o meno improvvisati. Intanto la Bestia continua a spostarsi e divora – strada facendo – altri tre bambini. La Congregazione Municipale di Milano distribuisce ormai anche le armi. Ma la Bestia, ormai arrivata alle porte di Milano, fa altre due vittime, sempre con la stessa predilezione per prede giovanissime, di cui spesso squarcia la gola bevendo il sangue e aumentando la convinzione - in realtà poco scientifica - che si tratti per questa ragione (?!) di una iena. Si diffonde addirittura la voce che le Bestie possano essere due e la Congregazione Municipale, ormai disperata, si riduce a organizzare solenni veglie di preghiera per scongiurare altre stragi. Inutilmente. Si studiano allora altri sistemi per catturare la belva: lasciare cadaveri sepolti a fior di terra per attirare l’animale in trappola, usare lacci o reti come nella caccia agli uccelli, servirsi addirittura di bambini per attirare la Bestia in appositi recinti-trappola. Fino a quando si arriva a una soluzione disperata: le “Fosse lupaje”, vale a dire delle grosse buche già utilizzate in passato per catturare i lupi. Per un po’ però ci resta imprigionato e ucciso solo qualche cane, come accade ad esempio a Barlassina.
Come andò a finire tutta la faccenda? Non è chiaro. Di certo il 18 settembre si sparge la notizia che la Bestia sia stata catturata. Si tratterebbe di un lupo caduto proprio in una delle tante Fosse Lupaje nei pressi di Milano. Tantissimi curiosi vanno a vederlo, l’animale ferito viene finito, tratto in superficie e poi impagliato e mostrato ai curiosi. Non tutti però sembrano riconoscere in quell’animale quello che per tanti giorni aveva seminato sangue e morte nelle campagne. Qualcuno dei bambini scampati alla morte sembra riconoscerlo, ma altri invece dicono che no, non si tratta di lui. Lo stesso anonimo autore del libro è interlocutorio. «Ma questo lupo era egli l’autore di tanti mali?». L’interrogativo, lanciato come un sasso nello stagno, è destinato probabilmente a rimanere senza risposta.
A curare “La Bestia feroce-Anonimo racconto milanese del 1792” (91 pagine), per i tipi de Il Muro di Tessa, piccola casa editrice indipendente di Milano, è stato nel Giovanni Biancardi, filologo e libraio antiquario: "Ci siamo imbattuti in questo opuscolo lavorando a un ciclo dedicato al “Sonno della Ragione”, episodi in cui i Milanesi, di solito esempio di razionalità e altruismo, “persero... la brocca!".Una Bestia feroce? "Ci siamo abituati al concetto di lupo buono, invece per l’Uomo settecentesco si trattava di un animale pericoloso. Nacque allora un’autentica psicosi ben resa dall’anonimo autore, che credo appartenesse alla cerchia del Beccaria e avesse accesso agli atti del Tribunale. Un testimone smaliziato, che irride i religiosi e i tridui che venivano organizzati per tenere lontana la Bestia feroce piuttosto che i politici, con le loro scelte inadeguate a risolvere il problema, come le cacce generali". Il libro è a tratti stupefacente. "Si tratta di una sorta di instant book, senza pretese letterarie ma scritto da una persona di buona cultura e che conosceva i retroscena e le vicende di cui narrava con una certa incisività". Si ipotizza che la Bestia fosse un lupo, a tratti addirittura due, oppure una jena scappata da un circo ambulante. "Probabile si trattasse di più lupi e che alla fine si pensasse fosse più opportuno creare un singolo mostro piuttosto che dire alla popolazione che si aveva a che fare con più animali, scesi a valle a far strage di bambini probabilmente a causa della carestia. Ma c’è anche chi ipotizza che in un momento di grande incertezza come quello della Rivoluzione francese si sia voluto creare un “mostro”, un capro espiatorio. Ipotesi a cui però credo meno".