"La cultura è donna. E il velo non è simbolo di sottomissione"

Donne attive nel Centro islamico di Monza: Tahany Shahin e Benmekki Hajira, provenienti dall'Egitto e dall'Algeria, raccontano la loro esperienza di integrazione e lavoro in Italia, sfatando pregiudizi sulle donne islamiche istruite.

"La cultura è donna. E il velo non è simbolo di sottomissione"

"La cultura è donna. E il velo non è simbolo di sottomissione"

Tahany Shahin (nella foto), per tutti Titti, e Benmekki Hajira, sono due delle donne maggiormente attive nel Centro islamico di via Ghilini: la prima è vicepresidente e principale organizzatrice di eventi e attività a fianco del direttore Fouad Selim; la seconda è moglie di quest’ultimo ed una delle volontarie che si dà più da fare. Entrambe nel loro Paese d’origine - l’Egitto per Tahany e l’Algeria per Benmekki - hanno studiato fino alla laurea, ed ora a Monza lavorano, sentendosi realizzate e libere di vivere a pieno la loro vita. "Io vivo in Brianza da 24 anni – racconta Benmekki –. Finiti i miei studi, ci siamo sposati in Algeria, poi siamo venuti qui. In Algeria, dove per 130 anni c’è stato il colonialismo francese, lo stile di vita è liberale: addirittura nelle università ci sono più femmine che maschi e gli studi sono gratuiti". "Sono venuta in Italia perché mio marito viveva già qui dal ’93, dove lavorava - chiarisce -. Io sono laureata in Economia e commercio e lavoro come mediatrice linguistica in una cooperativa. Nell’Islam il lavoro per la donna non è mai stato un problema. Mio padre non mi ha ma impedito di studiare: anzi, la donna deve imparare, si deve istruire, e così per il lavoro. Nella nostra cultura avviene che quando un uomo viene a chiedere la mano di una donna, il padre di quest’ultima detta delle condizioni, che se l’uomo accetta, una volta diventato marito, non può più rifiutarsi di rispettare". "A determinare il futuro di una donna sposata sono gli accordi prematrimoniali – conferma Tahany –. Dipende quindi dalle persone, non da una condizione necessariamente imposta". Lei in Italia c’è dal 1995. "Anche io mi sono prima sposata in Egitto e poi sono venuta qui perché mio marito lavorava qui – racconta la vicedirettrice –. Per integrarsi ci vuole sempre un po’ di tempo, anche solo per conoscere la lingua, ma tutto è avvenuto in maniera naturale. Oggi ho due figli grandi nati qui e sono molto attiva nel volontariato". Per dare una mano alle donne arrivate da poco in Italia fa moltissimo, con il Crei, Arcodonna, Lilt (per la prevenzione), e collaborando con Caritas, Cgil, Cascina Cantalupo. Nella vita è maestra di asilo da circa 20 anni, e nel curriculum ha una laurea in Cultura e lingua araba presa in Egitto.

Come lei molte donne islamiche, che a causa però di un preconcetto non vengono spesso prese sul serio. "Davvero tante islamiche istruite arrivano in Italia, ma per il solo fatto di avere il velo non vengono considerate perché viste come sottomesse al marito – osservano entrambe – Questo è a nostro avviso il vero pregiudizio di oggi su cui lavorare".

A.S.