Inverigo, Maurizio Beghé spara alla ex e si uccide. Il mistero della pistola, non era registrata

Non aveva alcuna licenza l’uomo che ha colpito in volto alla moglie prima di barricarsi in casa con le due figlie piccole e togliersi la vita. A gennaio era iniziata la crisi con la donna, ad aprile le due aggressioni

I carabinieri sul luogo della tragedia a Inverigo

I carabinieri sul luogo della tragedia a Inverigo

La Beretta calibro 6.35 utilizzata da Maurizio Beghè per ferire al volto la moglie, e per togliersi la vita, non risulta registrata. La sua matricola, perfettamente leggibile, non fa emergere dalle banche dati nessuna informazione utile a capire la sua provenienza. Di certo non era intestata allo stesso Beghè, il quale non era titolare di alcun porto d’armi. Anche se lo fosse stato, l’arma gli sarebbe stata sequestrata al momento dell’esecuzione del primo provvedimento cautelare emesso dal giudice, quello che gli ha imposto l’allontanamento da casa e il divieto di avvicinare la moglie. Era la premessa alla misura più grave, quella emessa venerdì e subito trasmessa ai carabinieri, che lo avrebbe condotto in carcere, ma che i militari non hanno fatto in tempo ad eseguire. In ogni caso, le denunce che pendevano su di lui, lo rendevano incompatibile con il possesso di qualunque arma.

Da dove sia uscita quella pistola, rimane tuttora un punto di domanda. Ora i carabinieri faranno un lavoro a ritroso, per cercare di arrivare a capirne la provenienza. Il punto di partenza sarà la stessa Beretta, la fabbrica di armi con sede a Gardone Val Trompia, nel Bresciano, da cui un numero imprecisato di anni fa è uscita quell’arma. È infatti possibile che sia stata acquistata prima della creazione delle banche dati attualmente in uso alle forze di polizia.

L’azienda dovrebbe essere in grado di datarne la produzione e verificare dove era stata venduta, se in Italia o all’estero. Da qui, con un po’ di fortuna, si potrebbe risalire ai successivi passaggi di proprietà, e capire in quali circostanze Beghè è riuscito a procurarsela. È praticamente l’unico aspetto ancora in sospeso nella ricostruzione del tentativo di omicidio e successivo suicidio di Beghè, che è ormai chiaro in tutta la sua sequenza.

A gennaio era iniziata la crisi con la moglie, 32 anni, da cui aveva avuto le bimbe di 6 e 8 anni rimaste a vivere con lei. Ad aprile le due aggressioni: la prima, di cui la donna inizialmente non aveva fatto parola, e dopo una settimana la seconda, il 13 aprile, quando aveva deciso di presentarsi ai carabinieri. Era stato indagato per lesioni e maltrattamenti in famiglia, in relazione a tre episodi denunciati dalla donna, che si era presentata dai carabinieri il 14 aprile, il giorno dopo la seconda aggressione subita dal marito.

La Procura di Como aveva subito disposto una misura a tutela della vittima, in attesa di fare le necessarie verifiche necessarie ad accertare che ci fossero le condizioni per mettere un provvedimento più grave.

Il 30 aprile Beghè aveva nuovamente avvicinato e malmenato la donna, per poi iniziare a dare forma alla sua ultima ed estrema rabbia: l’aggressione di venerdì, nella quale avrebbe prima dovuto uccidere la ex moglie, e poi se stesso. "Mamma e papà da lassù vi proteggeranno, aveva scritto su un foglietto nascosto nell’armadio delle bimbe".