Sacerdote umile, devoto, dai grandi principi morali, ma anche fisico nucleare di livello internazionale. Il 2024 è un anno importante per la comunità di Barlassina, che ricorda il quarantesimo della scomparsa di don Carlo Borghi. Personaggio davvero unico, eccellente in ogni compito in cui ha avuto il coraggio di cimentarsi, di notevole spessore, diventato suo malgrado un punto di riferimento per gli studi nucleari, ma anche estremamente preoccupato per le conseguenze che l’esplorazione di questo campo della scienza avrebbe potuto causare all’umanità.
Una storia poco conosciuta la sua nella natia Brianza, ma in realtà si potrebbero scrivere libri, vista la complessità e la poliedricità del personaggio. A tutt’oggi ne parlano in giro nel mondo anche in occasione di importanti convegni. Nato nel 1910, Carlo Borghi entra in seminario nella vicina Seveso dopo la conclusione delle scuole elementari, poi il ginnasio a Monza. Un percorso simile a quello di tanti altri coetanei. Per i docenti che si trovano a misurarsi con lui, il giudizio dal punto di vista scolastico lusinghiero: è un ragazzo di "ingegno forte". Nel 1933 l’ordinazione sacerdotale, con primo incarico a Porlezza: insegnamento di dattilografia e stenografia. Uno spreco, visto quanto dimostrerà di saper fare in seguito nella sua vita. Già meglio il successivo trasferimento al seminario di Seveso per l’insegnamento della matematica. Il suo talento, tuttavia è ben altro: nel 1934 i superiori decidono che deve iscriversi all’Università di Milano per la laurea in Scienze fisiche. Il sacerdote si fregia anche del titolo di dottore nel 1940 con una tesi sul problema teorico della instabilità del neutrone e sulla determinazione della sua vita media. Lui è già un passo avanti rispetto agli altri: il tema, come si vedrà nel 1945 con la Seconda Guerra Mondiale e le bombe atomiche, è di stretta attualità. Anche lui partecipa al conflitto: cappellano militare con il grado di tenente, abbatte anche un aereo inglese e viene decorato sul campo con una medaglia di bronzo al valor militare. La notizia di un sacerdote eroe di guerra finisce su tutti i giornali dell’epoca. Al rientro in Italia la sua strada è tracciata. Approfondisce le sue conoscenze scientifiche, partecipa a convegni per parlare anche dei problemi filosofici e morali che questa comporta. Continuerà anche dopo la nomina a parroco di Calco nel comasco. Nel 1952, però, la sua conoscenza serve alla nazione: Alcide De Gasperi in persona lo supplica di sviluppare progetti. E lui, per primo, inventa un motore nucleare all’idrogeno. Ancora oggi è considerato dagli scienziati internazionali un precursore dei tempi. Non è comunque l’ultima perla della sua carriera. Nel 1960 va a tenere un corso di fisica generale in Brasile. Lascia il segno anche lì aprendo il Cenur (centro di studi nucleari dell’università di Recife). Di lui si parla in tutto il mondo: Giuseppe Saragat, presidente della Repubblica, nel 1967 gli conferisce l’onorificenza di cavaliere per i suoi meriti professionali.
Si sposta tra Italia e Sudamerica, viene richiesto anche dal Politecnico di Milano per rapporti di collaborazione, scrive libri, poesie, dipinge. Ottiene riconoscimenti in tutti questi ambiti, a dimostrazione del suo sconfinato talento. Nel 1984 anche la sua amata Barlassina gli conferisce il Premio San Giulio, che viene riconosciuto al cittadino benemerito. È l’abbraccio della sua comunità, ma anche l’ultimo saluto collettivo: morirà un paio di mesi più tardi a Parma in una casa di cura.
Gualfrido Galimberti